Alba Berlino-AX Armani Exchange Milano 70-84

Martedì 14 gennaio 2021

Se oggi Kyle Hines fosse un giocatore NBA, farebbe parte di quella categoria speciale che negli States chiamano “Unicorns”, comprendente quei giocatori con caratteristiche così speciali da risultare unici nel proprio genere. Unicorni, appunto. In NBA, Hines ci ha anche provato a entrare, invano, facendosi vedere alla Summer League di Las Vegas per due estati consecutive, tra il 2009 e il 2010. In quegli anni giocava in Italia, a Veroli, in LegaDue, prima di incontrarsi, proprio in un fast-food di Las Vegas, con Andrea Trinchieri, l’uomo che lo portò con sé al Brose Bamberg gettando le basi della crescita che lo ha portato a essere il giocatore che è ora. Ma questa, per quanto affascinante, è un’altra storia.

Giocando a Veroli, dicevamo, avevo già avuto modo di vederlo giocare in campionato, e non fu così sorprendente ritrovarlo anche lì. Per i commentatori americani di quelle partite, invece sì. Non si capacitavano del fatto che un giocatore che vedevano indicato come “centro” nei roster forniti dalla sala stampa, in realtà facesse di tutto e tutt’altro in campo. Correva velocissimo, portava palla, palleggiava nel traffico, attaccava in penetrazione. Parliamo, ovviamente, di una dozzina di anni fa, un’intera era geologica per la pallacanestro, quando i centri erano ancora giocatori grossi, pesanti, muscolari, fisici e di stazza, con capacità tecniche limitate. Hines, invece, aveva già aperto una nuova epoca, e, per quanto abbia poi affinato il proprio gioco interno attraverso una lunghissima serie di stagioni ad altissimo livello in Eurolega, non ha perso quella versatilità che gli permette di fare un po’ di tutto in campo.

Contro l’Alba, Hines si è voluto e potuto aggiungere al reparto playmaker, nonostante quest’anno Milano sia ben coperta in quella posizione con Delaney e Rodriguez. Ma, tirando due somme, tre trattatori di palla sono pur sempre meglio di due. Soprattutto se il terzo, in realtà, agisce in modi e zone completamente diverse, tutte sue. E, contemporaneamente, può anche portar palla per eludere il pressing allungato avversario.

Per gran parte della partita, con un picco quasi incredibile raggiunto nella prima metà della ripresa, Milano ha giocato praticamente una sola situazione offensiva. Lo short-roll per il centro. E l’Alba non ha mai saputo trovare un modo adeguato per rispondere, ritrovandosi sempre colpita allo stesso modo. Attenzione, però, a non scadere in pericolosi luoghi comuni, perché alla base di situazioni come queste non ci sono errori difensivi incomprensibili, ma l’assunto-base della pallacanestro per cui un ottimo attacco batterà sempre qualsiasi difesa, per quanto competente questa sia. Per il semplice motivo che l’attacco, avendo l’iniziativa, parte sempre con un vantaggio. Chiaro, il vantaggio va poi costruito, mantenuto e sfruttato, ma nel caso dell’Olimpia è molto evidente.

Lo short-roll di Kyle Hines nella vittoria dell’AX Armani Exchange Milano a Berlino

Il 15/30 dall’arco non permette all’Alba di scommettere sui tiratori, ed è dunque necessario uno show molto aggressivo del lungo sul playmaker nel pick’n’roll di partenza. Non può nemmeno abbandonare i tiratori negli angoli, per lo stesso motivo, per andare in pre-rotazione a centro-area. Può farlo in un secondo momento, quando il centro avversario ha già ricevuto palla (o è in posizione per farlo) in una zona intermedia (short roll, appunto), dove è possibile agire in due modi: 1) attaccare il canestro prendendo slancio dal palleggio (cosa in cui Hines è maestro) o approfittare del ritardo difensivo per colpire dalla media distanza (uno dei colpi migliori di Zach LeDay), oppure 2) riaprire il gioco sul perimetro una volta attirata la difesa a centro-area e costruire conclusioni comodissime per i tiratori negli angoli. E qui torna in auge quel 50% dall’arco di cui parlavamo prima. Certo, per farlo serve un centro sui generis, con capacità di lettura e trattamento di palla, e qui ritrovate l’identikit di Kyle Hines.

scritto da Daniele Fantini