Anadolu Efes Istanbul-AX Armani Exchange Milano 69-72

Giovedì 17 dicembre 2020

L’anno scorso, macché, qualche mese fa, perché un anno non è ancora passato, quando vedevo giocare l’Efes mi brillavano gli occhi. In un certo senso, mi ero affezionato a una squadra che ho quasi “visto crescere”, balzata, in una sola stagione, dall’ultimo posto in classifica alla finale di Eurolega. Negli ultimi due anni l’Efes ha giocato un sistema offensivo meraviglioso, trasportando, a livello Eurolega, molti concetti propri della pallacanestro NBA e, più in generale, della pallacanestro moderna: le spaziature nei quattro angoli, una batteria di esterni fortissima nel giocare il pick’n’roll, lunghi dinamici e verticali e stretch-four capaci di allargare il campo in ogni posizione. Ho seguito, meravigliato, la crescita di Vasilije Micic, giunto ad essere uno dei giocatori più completi del continente, così come sono rimasto estasiato dall’esplosione di Shane Larkin, rapito dalla facilità e della naturalezza con cui, per mesi, ha dominato i parquet di tutta Europa.

Quando, lo scorso marzo, il covid ha costretto l’Eurolega a cancellare la stagione, l’Efes guardava tutti dall’alto in basso, con un record di 24-4. Lo faceva senza supponenza. Erano semplicemente i più forti, quelli che giocavano la pallacanestro più bella e più efficace e, soprattutto, ne erano perfettamente consci. E la fiducia, si sa, trasforma i giocatori in maniera molto più profonda che un’estate trascorsa ad allenarsi tre ore al giorno sul palleggio-arresto e tiro. Larkin, in quei mesi, era la fiducia fatta persona. Ogni sera, con quel pallone in mano, avrebbe potuto creare qualsiasi cosa gli fosse passata per la testa. E, statene certi, ne avrebbe ricavato un canestro, un assist o una giocata memorabile nel 90% dei casi. Oggi, a distanza di nove mesi, quella stessa squadra e quegli stessi interpreti che, con molta probabilità, avrebbero sollevato il trofeo se la pandemia non fosse mai esplosa, sono la carcassa irriconoscibile di una vecchia gloria.

Non so cosa sia successo, non so quale sottile meccanismo si sia incrinato per generare un’involuzione così netta e repentina. Forse sono vere le voci che identificano in Ergin Ataman un personaggio, alla lunga, molto scomodo. Ma qualcosa si è rotto. In maniera, temo, irreparabile. Perché il linguaggio del corpo di quegli stessi giocatori che sprizzavano fiducia e autostima da tutti i pori, ora indica chiaramente insofferenza e insoddisfazione. Quello di Larkin, poi, meraviglioso MVP mancato della scorsa stagione, è addirittura drammatico.

La palla a due tra Bryant Dunston e Kaleb Tarczewski che dà inizio alla partita tra Anadolu Efes Istanbul e AX Armani Exchange Milano

È vero, sul linguaggio del corpo tendo a soffermarmi spesso, ma perché lo reputo il primo indicatore della bontà di un giocatore. Quello di Sergio Rodriguez l’ho studiato per bene, e, come ho già avuto modo di parlarne ampiamente qui, sono felice di aver rivisto il Chacho riprendere pieno possesso delle proprie facoltà già alla sua seconda partita dal rientro dall’infortunio. Ma, se parliamo di giocatori in fiducia, il nome da mettere sul banco deve necessariamente essere quello di Kevin Punter. Quei due canestri con cui, assieme a Rodriguez, ha forgiato il break vincente conclusivo, sono sembrati facili. O meglio, li ha fatti sembrare facili. Ma erano tutt’altro che tali. Ma la sua concentrazione, la sua autostima, il suo focus avevano raggiunto un livello così alto che, in quel momento, avrebbe potuto segnare tirando anche girato al contrario dalla propria area.

Certo, i canestri di Rodriguez e Punter non sarebbero bastati se, dall’altra parte del campo, Milano non avesse schermato l’area in maniera totale con Kyle Hines e Zach LeDay. Hines è stato straordinario, anzi, superlativo, dimostrando, con i fatti, quale sia la vera essenza di un campione che ha vinto quattro Euroleghe fungendo sempre da àncora difensiva primaria. Su ogni cambio, è stato semplicemente inattaccabile dal perimetro. Lì, dove in teoria dovrebbe generarsi un vantaggio per gli esterni, è accaduto l’esatto opposto. Il vantaggio si concretizzava, sì, ma per la difesa. E l’Efes si è schiantato, continuamente, contro le sue braccione. “Attacca, attacca. Ma dove vuoi andare contro quello lì?”, veniva quasi da dire a ogni azione in cui veniva coinvolto il #42 biancorosso.

Sebbene poco loquace, Hines è sempre stato un grande mentore. E non credo sia un caso che Messina abbia scelto Zach LeDay per affiancarlo. Un giocatore con caratteristiche simili, un centro basso ma dinamico, atletico, roccioso, grintoso, con piedi veloci e capace di reggere scivolando sui cambi difensivi. Ho l’impressione che, in questi mesi, LeDay stia imparando molto da Hines. E averli visti lavorare assieme, con coordinazione millimetrica, in quel finale difensivo straordinario è stata una manna per gli occhi. Se anche voi siete puristi del genere, non potete non aver notato. E goduto.

scritto da Daniele Fantini