AX Armani Exchange Milano-FC Bayern Monaco 75-51

Giovedì 21 gennaio 2021 • Mediolanum Forum di Assago, Milano

Quando Messina si gira verso la panchina e chiama il tuo nome, non lo fa mai due volte. Perché devi tenere sempre le antenne dritte, sempre essere sul pezzo. E sul cubo dei cambi devi andarci di corsa. Mica trascinandoti col sopramaglia in mano. Ma quando, a metà secondo quarto, Messina scongela Paul Biligha, bastano poche manciate di secondi, condite, suo malgrado, da un paio di grossi errori, perché venga immediatamente richiamato per Kyle Hines. “E questo sarebbe il modo di farsi trovare pronti?”. Un cazziatone sacrosanto, ma che avrebbe sgretolato chiunque. Specialmente se si hanno occasioni per farsi notare che si contano sulle dita di una mano.

Pensavo non sarebbe più rientrato, invece, sul finire del terzo quarto, Messina lo richiama. “Adesso mettiamoci un po’ di intensità, forza!”. E Biligha, questa volta, risponde. Doppia stoppata in stile mutombiano sulla sirena del terzo periodo, una giocata che meriterebbe la Top 10 della settimana e che, in tempi pre-covid, avrebbe fatto esplodere il Forum. Al ritorno in panchina, tra un quarto e l’altro, Messina lo abbraccia a lungo, parlandogli all’orecchio, a costo di sacrificare gran parte del tempo a disposizione per dare indicazioni al resto del gruppo. Purtroppo non sono riuscito a captare le parole. Ma l’immagine generale assomiglia tanto a quella di un coach di una squadra giovanile. Se sbagli, ti punisco, anche duramente, ma tu sai il motivo. E sai che, se quando ti darò un’altra possibilità, dovrai dimostrare di averlo capito. Semplice, diretto, efficace. Mi piace.

L’huddle nel pre-partita di AX Armani Exchange Milano-FC Bayern Monaco.

Temevo questa partita. Per la forza del Bayern, per la classifica, per le condizioni risicate con cui Milano ci arrivava. Ma, in realtà, del Bayern, non ricordo praticamente nulla di questa serata, se non un primo periodo in cui hanno menato come fabbri, complice un metro arbitrale che definire curioso sarebbe abbastanza riduttivo. Non credo sia una svista mia. Piuttosto credo sia dovuto al fatto che, per tutta la partita, ci sia stata una sola squadra in campo. L’altra era come invisibile, impalpabile, presente quasi soltanto come arredo del parquet. E non penso nemmeno di esagerare. Un tempo da 20 punti, 13 palle perse e 6/26 al tiro sarebbe orribile anche in Prima Divisione. Figurarsi in Eurolega.

Sono molti gli aspetti che mi hanno sorpreso, a partire dal fatto che il Bayern non abbia avuto una singola soluzione per sistemare un attacco da 51 punti finali, record negativo nella storia del club in Eurolega. Jalen Reynolds ha preso 12 tiri, segnandone 5. Leon Radosevic ha fatto ancor peggio, 2/7. Fa 7/19 del reparto lunghi, 36.8%. Eppure, la palla interna in situazioni di post-up, da fermi, spalle a canestro, è arrivata con una continuità costante. E sistematicamente cancellata. Ora, Reynolds, quello stesso Reynolds di Reggio Emilia, quest’anno è diventato un’opzione offensiva primaria a livello Eurolega, cosa che, detta così, mi suona piuttosto strana. Eppure, con quelle sue ricezioni in post sul lato sinistro, riesce a crearsi spazio verso il centro-area per colpire con il gancione destro. Può essere, d’accordo. Ma non quando trova Kyle Hines sulla sua strada. In quella situazione vorrei capire: il vantaggio, dove sta?

Seconda cosa che mi ha sorpreso: il pressing allungato del Bayern con Hines in campo. Cosa che tramuta Hines in portatore di palla, con tutti quegli svantaggi che si aprono poi sulla metacampo opposta. Perché il difensore di Hines si ritrova da subito fuori posizione all’esterno dell’area, ed è immediatamente attaccabile con pick’n’roll da hand-off con un esterno sul lato, cosa che avviene in maniera sistematica. Eppure, dopo aver visto le partite con il Real Madrid e l’Alba, sembrava un concetto abbastanza chiaro.

Il quintetto dell’Olimpia Milano alla fine del terzo periodo contro il Bayern Monaco.

Chi ha invece preparato la partita nel minimo dettaglio è stato Messina. E qui capisco anche la strana serata di due giorni prima a Cremona, vissuta quasi come un impiccio prima della gara che contava per davvero. Essere sostanzialmente in otto, alla fine, è stato quasi un vantaggio. Perché ognuno, nel suo piccolo, si è auto-responsabilizzato nel proprio ruolo, sapendo sia che non avrebbe potuto compiere errori ma anche che, in caso contrario, non sarebbe comunque stato a rischio di panchina. Una tranquillità mentale non indifferente, cosa che il Bayern, invece, non aveva.

Oggi non voglio parlare dei singoli, non avrebbe senso per raccontare una partita vinta di gruppo, in cui ognuno, step by step, ha portato il proprio mattoncino alla causa. Gli aspetti più sorprendenti credo siano stati la coesione, la coordinazione che hanno fatto muovere Milano come un tutt’uno, un corpo unico, specialmente nella metacampo difensiva, lì dove si misura la reale compattezza di una squadra. Lì dietro ha funzionato tutto, sul perimetro, in area, a uomo, a zona 3-2, sul pressing allungato. Nelle giovanili, per insegnare i fondamentali difensivi di squadra, si ricorre spesso all’immagine della corda: una buona difesa è quella che possiede una sorta di corda invisibile che lega i propri interpreti, cosicché, al minimo spostamento di uno, possa corrispondere un adeguato contro-movimento degli altri. Se osservate Milano, il concetto è piuttosto evidente. Il lato debole si muove con tempismo straordinario rispetto a quanto succede attorno al pallone, così da formare una maglia invalicabile attorno all’area e al canestro. E, nei rari casi di errore, il richiamo di Messina è sempre lo stesso: “Dovevi essere lì due ore prima!”. A testimonianza del fatto che sono concetti sui quali in palestra, durante la settimana, si lavora in maniera folle.

Seconda cosa sorprendente è la concentrazione, il focus sui volti dei ragazzi, poi tradotta anche in linguaggio del corpo, soprattutto nella metacampo difensiva. La differenza rispetto a una normale partita di campionato è abissale. Il giovedì è come se giocassero un altro sport rispetto a quello della domenica. Il che è anche normale, perché “adattarsi” all’avversario è un cliché che si ritrova ovunque, a partire dai livelli più bassi della pallacanestro. Ma è nelle serate di Eurolega, dove squadre e avversari scarsi non esistono per definizione, che si può cogliere al meglio la vera qualità di certi giocatori. E, in molti casi, anche la loro grandezza.

scritto da Daniele Fantini