AX Armani Exchange Milano-Stella Rossa mts Belgrado 79-87

Mediolanum Forum di Assago, 18 novembre 2020

Quando la Stella Rossa arriva a Milano, si alza sempre il solito ritornello. “Ah, se non vinciamo in casa con la Stella Rossa, dove vogliamo andare?”. Uno strano refrain dal retrogusto forse calcistico, perché in realtà, se parliamo di basket, la Stella Rossa è sempre stata un’eccellenza nel panorama internazionale. E, se parliamo di Eurolega moderna, Milano, contro la Stella Rossa, non ha mai vinto. Mai. 0 vittorie in 6 partite, 0-4 sul parquet del Forum.

La Stella Rossa è sempre stata una squadra tosta, dura, fisica, intensa, come vuole la tradizione della scuola serba. Anche la versione di quest’anno, sebbene ritoccata con qualche spunto di creatività sul perimetro con le aggiunte di Jordan Loyd e Corey Walden, non si scosta più di tanto dalle precedenti: per battere la Stella Rossa, è necessario anzitutto superarla in intensità e fisicità prima che sul piano tecnico e balistico. Senza garra, contro gli slavi e i loro americani perfettamente integrati nel sistema, non si vince. Specialmente (o soprattutto) se dal pubblico non può arrivare alcun aiuto.

La terza gara casalinga della stagione di Eurolega è la prima disputata a porte totalmente chiuse. Il vuoto cavernoso del Forum risuona in tutta la sua pienezza, e dal parquet giungono, amplificati, tutti quei suoni che siete abituati a sentire su un normale campo di un campionato minors: le parole dei giocatori, le urla degli allenatori, i cigolii delle scarpe sul parquet, i rumori dei corpi che cozzano gli uni contro gli altri a rimbalzo. Tutto arriva alle orecchie in modo amplificato, perfettamente percepibile all’interno del silenzio ovattato della cattedrale vuota.

Dejan Davidovac batte una rimessa da fondo durante la partita tra AX Armani Exchange Milano e Stella Rossa mts Belgrado

Visto in questa versione, Jordan Loyd è un giocatore molto più interessante e inserito di quello più titubante dello scorso anno a Valencia. Tendo a ripetermi, è vero, ma mi sorprende sempre vedere come giocatori con un passato marginale a livello NBA abbiano in realtà il talento per essere star in Eurolega. Un paragone che la dice lunga sulle qualità generali della Lega più importante del globo e sulle difficoltà nel riuscire a scavarsi una propria nicchia personale. Ero anche molto interessato a dare un’occhiata da vicino a Corey Walden, già adocchiato l’anno scorso in un paio di partite egregie in maglia Partizan: il ragazzo è tosto, con istinti offensivi molto spiccati, un primo passo rapido e, soprattutto, una fame di emergere che molto spesso, a questi livelli, fa la differenza tra un discreto e un buon giocatore.

Mi ha colpito molto anche Johnny O’Bryant, un altro elemento che, suo malgrado, non è mai riuscito a giocare con continuità oltreoceano, ma che, alle nostre latitudini, può avere un impatto cruciale. Il fisico è marmoreo, con muscoli scolpiti quasi col cesello, e le sue letture di spacing perfette. Sa sempre dove, come e quando mettersi in visione per poter ricevere il pallone e far frusciare la retina con un tiro da fuori molto dolce a dispetto del torace enorme. Questi giocatori sanno come estrapolare una situazione vantaggiosa di 1vs1 quasi dal nulla, semplicemente prendendo posizione in una zona di campo che potremmo definire come “comfort zone” personale. Lo ricordo ricevere poco più lontano del post-medio, a 4-5 metri dal canestro, fronteggiare e sparare sulla testa di LeDay un jumper morbidissimo come nulla fosse, un gesto ormai mentalizzato e meccanizzato in anni e anni di pratica. D’altronde, anche coach Ettore Messina, nel suo libro scritto negli anni a Los Angeles, racconta di come molto spesso l’obiettivo di un attacco NBA sia semplicemente quello di far ricevere il pallone a un giocatore nella sua posizione di campo preferita. Da lì in poi, sarebbero bastati il talento e gli istinti del giocatore stesso per estrarre qualcosa di buono.

Un time-out di coach Ettore Messina durante la partita tra AX Armani Exchange Milano e Stella Rossa mts Belgrado

Quel qualcosa di buono per Milano, purtroppo, non è arrivato. Ma la notizia lieta è il recupero sempre più spedito di Kevin Punter. Oggi l’ho visto muoversi e attaccare con molta più fiducia nei propri mezzi rispetto al rientro stentato di domenica contro Cantù, e ho anche avuto la possibilità di apprezzarne il linguaggio del corpo per la prima volta dal vivo in stagione. La dedizione difensiva è sorprendente per il giocatore pigro che mi ricordavo alla Virtus Bologna, così come il livello di comunicazione verbale e non verbale con i compagni: gesti, indicazioni, urla, grida, tutto per cercare di far girare al meglio i meccanismi difensivi della squadra, lì dove Messina vuole costruire la vera forza del gruppo. Dalle poche battute scambiate a bordocampo, il rapporto con il coach mi sembra molto solido: Punter dà l’impressione di aver capito di essere in un posto e in un momento speciale, pronto per migliorare sotto i consigli di un allenatore che ha scritto pagine di storia importanti anche a livello NBA.

scritto da Daniele Fantini