Clint Capela si racconta: “Tra difesa e schiacciate, ecco come mi sono costruito una carriera NBA”

Parlare con Clint Capela è come aprire una porta su una dimensione laterale del mondo. Perché dietro a quel vocione e a quel fisico statuario (208 cm per 109 kg), si nascondono un sorriso genuino e ammaliante e una personalità ricca, sfaccettata e molto razionale. Nei cinque anni trascorsi con gli Houston Rockets, si è trasformato da prospetto indefinito a centro titolare e tassello fondamentale di una delle squadre più forti al mondo, un percorso affrontato gradualmente, spinto dal sogno di giocare con i migliori ma sorretto dalla concreta consapevolezza di dover basare questa crescita su caratteristiche ben precise: quelle che gli hanno permesso di essere il prototipo perfetto del big-man nella pallacanestro moderna. Lo abbiamo incontrato a margine della Trentino Cup, dove, indossando la canotta della sua Svizzera, ha scritto 15 punti con 8 rimbalzi in 20′ contro la Costa d’Avorio, penultima gara di preparazione per le qualificazioni agli Europei del 2021.

Svizzera-Costa d’Avorio, Trentino Cup 2019

L’inizio: ritagliarsi un ruolo in NBA

” Quando sono arrivato in NBA ammetto che mi sentivo un po’ spaesato. Non avevo ancora dimostrato nulla, e davanti a me avevo giocatori fortissimi come Dwight Howard, Terrence Jones e Trevor Ariza. Ho dovuto capire fin da subito che cosa potessi dare e fare per essere realmente utile a una squadra che aveva già un centro come Howard. Mi sono detto: ‘Ok, serve un lungo che sappia difendere, correre, saltare e schiacciare? Bene, lo farò. Qualsiasi cosa pur di poter giocare in NBA’. Tanti giovani, oggi, quando arrivano in NBA vogliono tirare da tre punti o palleggiare come Iverson o Steph Curry, ma non è detto che sia necessariamente quello che serve, e non lo è stato per me. Mi sono costruito e ritagliato un ruolo che ha le caratteristiche perfette del centro moderno, mi sono affinato in G-League durante il mio anno da rookie e mi sono fatto trovare pronto quando le circostanze (vedi anche i problemi fisici di Howard) mi hanno aperto una possibilità. È stato un mix di duro lavoro e fortuna.”

La difesa, il punto forte

” L’aggressività in difesa è una conseguenza del giocare in NBA. Nel mio primo anno non ero così, ma ho sviluppato questa caratteristica giocando tutte le sere contro i più forti del mondo. LeBron, Harden, Westbrook, Paul, hanno tutti un fuoco interiore e una motivazione pazzesca, che li anima ogni giorno. Per poterli affrontare, devi essere come loro. Ora parlo tantissimo in difesa, perché così posso motivare me stesso e soprattutto i miei compagni a dare sempre il massimo: mi piace comunicare ed essere il leader emotivo e vocale della difesa. Nel prossimo futuro ho sicuramente come obiettivo quello di vincere il premio di Miglior Difensore dell’Anno NBA.”

Il nuovo e il vecchio: Westbrook e Harden

” Non vedo l’ora di giocare con Westbrook. È uno di quei giocatori che ha sempre il fuoco vivo all’interno, è ultra-competitivo, vuole vincere, e ha sempre avuto un’ottima intesa con i suoi big-man: è uno che sa come darti il pallone per farti segnare un canestro facile. Con Harden, invece, ho costruito ormai un rapporto speciale. Ha un’intelligenza cestistica pazzesca, e questo lo rende un attaccante formidabile. Sa leggere perfettamente le situazioni in pick’n’roll, e per giocare in modo efficace con lui ho dovuto anch’io capire come muovermi in funzione delle scelte della difesa. Poi lui è un artista. Sa quando tirare da fuori, quando andare in penetrazione o quando alzarmi quei palloni perfetti solo da schiacciare. Con Westbrook e Harden assieme, quest’anno saremo una squadra temibilissima. L’obiettivo è vincere. E riuscire a vincere in NBA suscita sempre emozioni pazzesche in tutta la squadra, dai giocatori, allo staff, ai tifosi.”

Mike D’Antoni, un coach ideale

” Coach D’Antoni è l’ideale per me. È un allenatore che ispira fiducia, che sa gestire e motivare il gruppo. Se sono cresciuto così tanto è per merito suo. Mi ha aiutato tantissimo in tutto il mio percorso, dal capire a cosa potessi dare alla squadra a come potessi crescere e migliorare. Ogni giorno mi parla, mi motiva, e mi aiuta a costruire la mia autostima, mattoncino dopo mattoncino.”

Dal calcio al basket: il colpo di fulmine a 13 anni

” Anche se negli ultimi 5 anni ho giocato in NBA, resto sempre un giocatore svizzero. In estate, mi piace tornare a casa e organizzare dei camp per far conoscere il basket ai bambini, emozionarli e invogliarli a giocare. Spero che vedermi giocare in NBA possa essere d’ispirazione per loro. Mi ricordo ancora quando ho visto la mia prima partita della nazionale: era il 2007, e fino a quel momento avevo sempre giocato a calcio. Andai al palazzetto per vedere Svizzera-Francia. Da una parte c’era Tony Parker, dall’altra Thabo Sefolosha: era giovane, ma già fortissimo. Correva, schiacciava, faceva numeri incredibili. Mi innamorai subito di quel gioco. Come lui è stato ispiratore per me, ora io spero di poterlo essere per altri bambini. In NBA, invece, ho imparato tanto da Blake Griffin. Quando sono arrivato ero giovanissimo, mi piaceva schiacciare e vedere le schiacciate, e in quegli anni non c’era nessuno come lui: attaccava sempre il canestro con rabbia, in ogni azione, la stessa che provo a metterci io adesso.”

scritto da Daniele Fantini