Coach Meo Sacchetti guiderà l’Italia a Eurobasket 2022: tre motivi per un’ottima scelta

Sabato 25 settembre 2021

Coach Meo Sacchetti resterà alla guida della Nazionale azzurra fino alla conclusione degli Europei del 2022, gestendo anche le prime finestre di novembre e febbraio per la qualificazione ai Mondiali del 2023. Una scelta, quella della FIP, nota da tempo, ma ratificata soltanto in occasione del Consiglio Federale di ieri, venerdì 24 ottobre. Una scelta che scaccia le voci di possibili avvicendamenti emerse negli ultimi mesi (con il nome di Ettore Messina in primis) e che premia il lavoro eccezionale svolto da un allenatore capace di riportare l’Italia ai Mondiali dopo 13 anni e alle Olimpiadi dopo 17, chiudendo a un soffio dalla semifinale. Il tutto immerso nella nuova formula delle finestre FIBA infra-stagionali, utili per alleggerire il carico di lavoro ai giocatori in estati spesso infinite ma meno propedeutiche alla costruzione di un gruppo.

La conferma di coach Sacchetti passa attraverso tre punti-chiave, strettamente correlati l’uno con l’altro: un fattore emotivo, uno tecnico e uno che tocca l’aspetto di continuità temporale del progetto.

FATTORE EMOTIVO

Quel “nonno Meo” sempre più utilizzato, anche dalla stampa, per tratteggiare il ritratto del coach azzurro non è soltanto un semplice vezzeggiativo affettivo e amichevole per un uomo immerso nel basket da quasi 70 anni, 27 dei quali in panchina. Ma è anche e soprattutto un modo per esprimere e rendere comprensibili a tutti le qualità umane del Meo Sacchetti inteso come persona, prima che come allenatore.

Sacchetti è un uomo empatico, capace di vivere le dinamiche dello spogliatoio e di sintonizzarsi sulla sensibilità dei suoi ragazzi. È una persona che infonde tranquillità e sicurezza. Nell’atteggiamento e nel modo di porsi e parlare. Le parti introduttive dei suoi time-out, quelle che vanno a toccare le corde emotive prima di scendere nei dettagli tattici, sono veri e propri trattati di psicologia sportiva. Sia one-to-one che di gestione del gruppo.

I suoi giocatori non vanno in affanno. Anche di fronte a terreni ostici e mai calcati prima. Non è un caso che, seppur senza alcuna esperienza a quel livello, gli azzurri abbiano giocato il preolimpico di Belgrado e le partite di Tokyo come se non avessero mai fatto altro per tutta la carriera. Coach Sacchetti motiva e fa crescere i suoi ragazzi. E non è un caso (bis) che quel gruppo olimpico abbia performato ad altissimo livello nonostante l’assenza di tanti veterani, ma grazie alle qualità costruite attraverso le finestre di qualificazione (ci arriveremo nel punto 3).

FATTORE TECNICO

L’aspetto più lampante. L’Italia di coach Sacchetti gioca bene. Esprime un basket piacevole, divertente, frizzante, che rapisce e appassiona anche gli osservatori occasionali (dettaglio non da poco quando si parla di Olimpiadi). L’hype che ha circondato la Nazionale tra il preolimpico e i Giochi di Tokyo è stato sensazionale. Qualcosa che non si percepiva da tantissimo tempo, dagli anni dello storico argento di Atene 2004.

Sacchetti ha saputo costruire un basket piacevole ed efficace restando fedele alla sua idea di pallacanestro atletica, dinamica, duttile e super-moderna, concetti di cui è stato grande precursore in Italia negli anni d’oro della run’n’gun sassarese. Lo ha fatto sublimando alla massima potenza le caratteristiche intrinseche del roster azzurro, già di per sé border-line per la mancanza di peso sotto canestro e l’affollamento nel reparto ali. E sono state proprio queste variabili di duttilità e versatilità, a loro volta cardini di un basket moderno che va verso sfumature sempre più nette tra i ruoli, a dargli la possibilità di esprimere la sua pallacanestro, capace di imbrigliare avversari più forti sulla carta.

Ma attenzione! Non precipitiamo nell’errore, tradizionalmente molto comune, di ridurre il gioco di Sacchetti alla sola metacampo offensiva. Perché la grande forza dell’Italia è stata nella propria metacampo, lì dove, grazie a quelle caratteristiche già citate, ha saputo trovare e sfruttare quei vantaggi in dinamismo e capacità di adattamento determinanti, a loro volta, per contrastare il gioco moderno. Dal cambio sistematico sul pick’n’roll, alle rotazioni forti dal lato debole, alla pressione sulla palla e sulle linee di passaggio perimetrali.

CONTINUITÀ E PROGETTO

Come abbiamo visto, costruire un gruppo in questo particolare periodo storico, segnato dall’introduzione delle finestre FIBA, è materia molto complicata. Perché, molto spesso, tante nazionali centrano l’obiettivo qualificazione raccogliendo quel che resta tra i giocatori non impegnati tra NBA ed Eurolega (quindi, tendenzialmente, gli elementi più forti), e si presentano poi al torneo con una squadra molto differente.

Due problemi. Il primo, di natura etica: è giusto escludere dai 12 quei giocatori, magari anche di status minore, che hanno però contribuito al raggiungimento della qualificazione? Il secondo, di natura tecnico-tattica: tutto quello che si è costruito nelle finestre FIBA, va poi appallottolato e gettato come carta straccia una volta rientrati i veterani titolari? Problemi che l’Italia portata a Tokyo da Sacchetti ha sofferto in maniera minore rispetto alle concorrenti o anche alla sua versione del recente passato ai Mondiali del 2019, quando lo stravolgimento del roster era stato più marcato.

In questo particolare momento di transizione e ricambio generazionale, Sacchetti ha potuto e saputo costruire nel tempo, partendo dal basso, e sfruttando quelle finestre stesse per lanciare a livello internazionale tanti giovani e tanti giocatori più maturi ma che, frenati nel limbo di una strana terra di mezzo, non avrebbero probabilmente mai avuto l’occasione di macinare esperienza su certi palcoscenici. Se in questi mesi abbiamo scoperto molti azzurri di prospettiva o ci siamo goduti la crescita sorprendente di altri elementi che abbiamo sempre considerato (sbagliando) soltanto da rotazione (e non potenziali protagonisti), il merito è anche di Sacchetti. E della sua personalissima propensione nel rischiare per far crescere. Erano anni che il basket italiano non viveva l’entusiasmo di un progetto con basi così solide e così ricche di potenziale in futuro. Dargli continuità è il giusto e naturale sviluppo delle cose.

scritto da Daniele Fantini

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