Dalla Final Four allo scudetto mancato: la stagione di Milano è positiva?

Sabato 12 giugno 2021

Una bacheca arricchita da una Supercoppae una Coppa Italia, un terzo posto in Eurolega con finale negata da una magia di Cory Higgins a otto decimi dalla sirena, ma una finale-scudetto persa in modo netto contro la Virtus Bologna, grande avversaria di sempre. La stagione appena conclusa dall’Olimpia Milano, la più lunga e massacrante della storia con le sue 91 (novantuno!) gare ufficiali disputate, è l’incarnazione del più classico dei dilemmi sportivi: archiviate le pagelline di metà anno, il voto definitivo di giugno è positivo o negativo? Domanda complessa, che divide, prima che gli addetti ai lavori e l’interno della società stessa, i tifosi biancorossi.

Stagione negativa: obiettivo primario perso contro la grande rivale di sempre

Se guardiamo il bicchiere mezzo vuoto, l’Olimpia ha mancato quello che, a inizio stagione, era stato definito da società, allenatori e giocatori come obiettivo più importanteriportare a Milano quello Scudetto che manca dal 2018, anno della prima stagione di Simone Pianigiani al timone. La conquista del Tricolore, prima che la qualificazione alla Final Four di Eurolega, obiettivamente non prevista/prevedibile ai blocchi di partenza, era stata caricata di grande importanza, vista come vera base per la costruzione del ciclo con coach Ettore Messina precipitato nel limbo con la sospensione delle attività per lo scoppio della pandemia nel marzo 2020.

Milano non ha soltanto mancato l’obiettivo principe, ma non si è nemmeno avvicinata, stante il pesantissimo 4-0 senza possibilità di replica con cui la Virtus ha ribaltato anche il più incredibile dei pronostici. Per di più, lo ha perso in favore di quella grande rivale che, a sua volta, ha aperto in contemporanea un suo nuovo ciclo iper-ambizioso, riaccendendo quell’asse infuocato Milano-Bologna che ha disegnato pagine fondanti della storia del basket italiano. Ora, a settembre, non si potrà più parlare di Olimpia grande favorita e forza trainante del nostro movimento ma di rinascita ufficiale e definitiva del dualismo tra le due maggiori piazze cestistiche italiane.

A questo si affianca un secondo dubbio, più gestionale. La squadra che ha conquistato il terzo posto in Eurolega, miglior risultato dal 1992, ha potuto attingere a piene mani dalla reale profondità di un roster a 18 elementi, spuntato, invece, in campionato con la formula del 6+6. La grande concentrazione sullo sviluppo della chimica tra i giocatori-cardine e quel sense of urgency tipicamente milanese tradotto nel massimo sforzo per vincere ogni partita del campionato ha sparigliato le carte in gioco, portando, in finale, un core stremato di fianco a un supporting-cast con meno fiducia e ritmo rispetto a quello della Virtus, con roster più corto, sì, ma più capace di “far squadra” con la piena totalità dei suoi elementi. Chiaro, qui sconfiniamo in discorsi di programmazione e gestione molto più ad ampio raggio rispetto alla singola serie, riprecipitando nel dilemma che coinvolge ormai tutte le squadre impegnate in Eurolega dalla riforma del calendario con torneo a girone unico: sostanzialmente, si disputano due campionati con un numero di partite addirittura maggiore rispetto a quello NBA e con pressioni, aspettative, fisicità, difese e logorio psico-fisico massacrante. La formula giusta per bilanciare il tutto è molto difficile da trovare. Se mai esista realmente.

Stagione positiva: due trofei, un percorso di crescita straordinario e il recupero dello status europeo

Se guardiamo il bicchiere mezzo pieno, l’Olimpia ha disputato, probabilmente, la sua miglior stagione degli ultimi trent’anni. Perché la pesante sconfitta nella finale-scudetto, tra l’altro raggiunta da capolista, con percorso netto e nel bel mezzo delle Final Four di Eurolega, non può cancellare come un colpo di spugna il lavoro graduale di costruzione e crescita del core cementato settimana dopo settimana, fino a raggiungere, tra gennaio e marzo, all’apice della forma psico-fisica, uno status molto vicino a quello della miglior squadra d’Europa. Quando ha potuto avere freschezza atletica e profondità nelle rotazioni, aspetti totalmente mancati in una finale-scudetto disputata con la spia del carburante accesa sul rosso, Milano ha dimostrato di essere spanne sopra la concorrenza in Italia, come certificato dai trionfi in Supercoppa e Coppa Italia in cui ha spazzato via ogni avversaria in partite secche, senza domani.

Ma a fianco dei due titoli aggiunti alla bacheca e a una regular-season conclusa da capolista, l’Olimpia è riuscita a ricostruirsi un nome e uno status in Europa, dove latitava ormai da tempo eccezion fatta per lo squillo estemporaneo piazzato dall’allora EA7 di coach Luca Banchi sette anni fa. In Eurolega, Milano ha raggiunto un traguardo che mancava da 29 stagioni, collezionando una lunga serie di vittorie storiche su campi inviolati o considerati tabù nell’epoca moderna, tra Madrid, Istanbul (due volte), Mosca e Tel Aviv.

Sugli scout di Eurolega, l’Olimpia è passata da squadra un po’ naive della capital fashion ad avversaria capace di incutere rispetto e timore anche alle più grandi corazzate europee, e la straordinaria organizzazione difensiva instillata da coach Ettore Messina ha riacceso i ricordi mai sopiti di quello “sputare sangue” petersoniano che rappresenta, ancora oggi, il mantra per ogni tifoso biancorosso. In Europa, lì dove si sta concentrando l’attenzione della società per il prossimo futuro in un’Eurolega sempre più dura, competitiva e affascinante, l’Olimpia è andata ben oltre le aspettative: l’obiettivo playoff, delineato a inizio stagione, si è trasformato in un grandioso quarto posto in regular-season seguito da un’altrettanto epica cavalcata verso le Final Four di Colonia, con il biglietto per la finale tradito soltanto da un in-and-out di Kevin Punter in quello che, a tutti gli effetti, è il suo tiro per eccellenza.

Scritto da Daniele Fantini