Dolomiti Energia Trentino-AX Armani Exchange Milano 61-60

Lunedì 8 marzo 2021

Domenica scorsa ero stato molto critico sull’atteggiamento con cui la Fortitudo aveva approcciato la partita al Forum. Già in quel primo quarto in cui era affogata sotto una scarica di triple e aprendo il centroarea in maniera continua alle penetrazioni di Rodriguez, mi era sembrato che Bologna avesse non soltanto preparato male la gara, ma che fosse anche – cosa peggiore – scesa in campo già demotivata. Con Trento, invece, ho visto finalmente quello che volevo vedere.

Una squadra sulla carta inferiore ha un solo modo per poter battere un’avversario favorito. Attaccarlo, aggredirlo, metterlo sotto pressione sin dalla palla a due, togliergli da subito sicurezze, certezze e automatismi. Certo, per farlo occorre un grado di fisicità e atletismo notevole, ma Trento è squadra con queste caratteristiche. L’organizzazione difensiva dell’Aquila è stata eccellente, per non dire eccezionale. A tratti, ho rivisto gli stessi principi della difesa di Messina: pressione forte sulla palla, show dei lunghi per rompere il timing del passaggio, lato debole pronto ad aiutare e ruotare, raddoppi quasi automatici in post, area circondata come un fortino.

Il risultato è stato evidente. Milano non segnava 60 punti dall’età della pietra, ma, produzione offensiva a parte, è mancata la solita fluidità, la solita sicurezza degli interpreti. Una settimana dopo il record societario di 21 triple, ho visto più air-ball al PalaTrento che in tutta la stagione. E un motivo ci sarà anche stato. A questo punto sorge spontanea una considerazione: quei principi difensivi, che non mi sembrano molto distanti da quelli dell’Olimpia, possono essere adottati da qualsiasi squadra con una buona preparazione. La sfida, che Milano sta vincendo quest’anno, è riuscire a mantenerli tali per tutta la stagione, e non proporli soltanto in maniera estemporanea.

Gary Browne a parte, i cui istinti offensivi sono ben noti così come i suoi alti e bassi umorali, è stata la partita di Kelvin Martin, e non soltanto per quel tap-in nel traffico a rimbalzo offensivo che ha chiuso i conti nel finale. Martin ha segnato solo quel singolo canestro, ma ha riempito la serata di centinaia di altre piccole cose oscure che fanno la differenza. Se soltanto avesse un po’ più di continuità, sarebbe un giocatore molto più devastante. Ma è stata anche la partita di JaCorey Williams, giocatore che mi ha subito stuzzicato sin dalla prima apparizione in Supercoppa, ad agosto, e che ho sempre ritenuto il perno di questa squadra. Mi intriga, perché è il ritratto perfetto del centro moderno. Atletico e saltatore ma anche muscolare. Mutuando un’espressione cara a coach Casalini, mi piace sempre definirlo “sbisciolante”. Nel nostro campionato non c’è nessuno come lui, con quelle caratteristiche fisiche, tecniche, di equilibrio e coordinazione che gli permettono di “ballare”, quasi in punta di piedi, nel cuore dell’area, schivando corpi e braccia dei difensori.

Su Milano c’è molto meno da dire, eccezion fatta che, se Kevin Punter avesse segnato quella tripla che Rodriguez gli aveva regalato con quattro metri di spazio nel finale, saremmo stati qui a parlare con tutt’altro tono, di una vittoria epica conquistata in un oceano di difficoltà. D’altronde, quando Punter ha ricevuto quel pallone, ero già pronto a scrivere “3” a referto. Quello è il suo tiro se ce n’è uno, per definizione. Ma è andato cortissimo, scheggiando appena appena il primo ferro. Così come tanti altri tiri di Rodriguez, di Roll e di Shields. D’altronde, la fatica si può anche coprire in difesa, dove si gioca d’istinto, di rabbia, di agonismo, ma non in attacco, dove serve invece freddezza, precisione e lucidità. E in questo periodo della stagione, dopo l’ennesimo doppio turno di Eurolega e trasferte continue, di ossigeno al cervello sembra esserne rimasto poco. Com’è anche naturale che sia.

scritto da Daniele Fantini