Efficacia e carattere: Zach LeDay ha conquistato Milano

Se fossimo negli anni ’70, quel tiro in semi-sospensione a una mano sola di Zach LeDay sarebbe materiale di studio per qualsiasi squadra giovanile. Eppure, anche nel 2021, calato nel contesto di una pallacanestro che ha pochissimo da spartire a livello tecnico e fisico con quella di cinquant’anni fa, quel tiro è ancora ugualmente efficace. Anzi, forse il più efficace del campionato italiano e uno dei più immarcabili d’Europa, a livello della celebre petahtári di Georgios Printezis. A luglio, quando firmò per l’Olimpia, lo fece quasi con le sembianze del ripiego, di una seconda-terza scelta dopo il corteggiamento fallito a primedonne più avvenenti, Derrick Williams in primis. Ma quel tiretto, unito a un mix di caratteristiche fisiche e caratteriali uniche nel suo genere, gli ha permesso, in pochissimo tempo, di conquistare la piazza storicamente più difficile d’Italia.

Un impatto da giocatore-rivelazione dell’anno

Nel successo su Pesaro, in cui è stato MVP sfiorando per un solo punto il suo season-high (i 25 realizzati alla seconda giornata contro Treviso), LeDay ha piazzato un altro mattoncino nella corsa a giocatore più sorprendente della stagione. In apertura di ripresa, quando ha acceso quasi in solitaria la prima rimonta, è stato incontenibile: palla in post e giù, a testa bassa, a lavorare con quel suo tiretto spalle a canestro. I numeri parlano in maniera chiara. LeDay è leader di Milano in punti (16.2), rimbalzi (7.6) e valutazione (22.7), ma quei punti, traslati su un ipotetico impiego di 40 minuti per capirne il reale impatto sulla partita, si trasformerebbero in 28.6, un solo decimo in meno di Luis Scola, leader assoluto del campionato. Con la differenza che, a Varese, Scola è il fulcro dell’attacco, mentre, a Milano, LeDay è uno dei tanti.

Anche per chi lo ha seguito nella bella scorsa stagione allo Zalgiris Kaunas, dov’è stato svezzato, raddrizzato e sguinzagliato da Sarunas Jasikevicius in una maniera molto simile a quella già vissuta da Brandon Davies (oggi a Barcellona, non a caso), l’impatto di LeDay è stato sorprendente ben oltre le aspettative. Era difficile immaginare che potesse andare a coprire con quella completezza un ruolo dolente in tutte le versioni più recenti dell’Olimpia, anche e soprattutto a livello europeo, dove sta raccogliendo le cifre migliori della carriera se raffrontate al suo utilizzo (9.9 punti, 4.6 rimbalzi), spiccando per una insospettabile capacità di aprire il campo (50% da tre in Eurolega, 47.4% in campionato) e di macinare punti in lunetta, un must per un big-man che gioca con quel suo livello di atletismo e intensità vicino a canestro (93/101 ai liberi in entrambe le competizioni, la percentuale è facilmente calcolabile).

Difesa e carattere: gli intangibles che conquistano

Ma le cifre, per quanto succose e brillanti, portano sempre il rischio di risultare asettiche. Con i numeri si possono conquistare le classifiche, ma non necessariamente il cuore dei compagni, dei tifosi e dell’allenatore. Per quello serve altro, e il bagaglio di LeDay è colmo di intangibles utilissimi alla causa. La difesa è imprescindibile. Essere un blue-collar è d’obbligo in una squadra di Messina e in una piazza come Milano, sempre legata ai ricordi sbiaditi degli anni ’80-’90. In questo, LeDay è giocatore perfetto. Combattente, tenace, tignoso ma anche atletico e guizzante, capace di coprire come un tergicristallo da lato a lato e di reggere in scivolamento sui cambi difensivi. E avere al fianco un Gran Maestro come Kyle Hines può soltanto aiutare a portare queste caratteristiche a un livello sempre più eccellente.

Così come è decisiva la parte caratteriale. Con David Blatt nel suo anno da rookie all’Olympiacos, Sarunas Jasikevicius poi ed Ettore Messina ora, LeDay è passato attraverso tre delle menti cestistiche migliori d’Europa e del mondo, apprendendo ogni concetto come una spugna, con desiderio continuo e infinito di imparare. Il progresso che ha portato ai risultati di oggi è evidente, lampante. LeDay sa stare al proprio posto, capire che un richiamo o un cambio non sono punitivi ma necessari per la sua crescita e quella della squadra, e, contemporaneamente, sa dare tutto per il gruppo e i compagni. Seguirlo dalla panchina è un’esperienza quasi mistica. La sua voce è un ritornello continuo di incitamenti e indicazioni, come se volesse essere sempre lì, nel cuore dell’azione, attorno a quel pallone. Dedizione totale e completa alla causa. Così, Zach LeDay ha conquistato tutti nel giro di sei mesi.

scritto da Daniele Fantini