Final Eight Coppa Italia 2021 • Day 1, quarti di finale

Giovedì 11 febbraio 2021 • Mediolanum Forum di Assago (MI)

“Meno male che doveva essere senza pubblico”. Quando Hugo Sconochini parla, dice sempre le cose come stanno. Ma d’altronde, davanti a quel brulicare di gente sotto di noi, è difficile pensarla diversamente. E, tutto sommato, non mi spiace più di tanto dover lavorare seduto su una sedia da pubblico, in alto, sotto al tavolo dei nostri telecronisti, piuttosto che infilarmi nella massa della tribuna stampa. Con Hugo tendenzialmente è meglio essere sempre d’accordo. Io non posso farne a meno, soprattutto quando, rivedendolo a un anno esatto dall’ultima volta (Coppa Italia 2020 a Pesaro) e dopo due lockdown, mi fa: “Ma che capelli ti sei fatto? Sei un figo adesso, sei bellissimo!”.

Ritrovare dal vivo la combriccola di Eurosport è stato piacevole, compresi i tentativi di Elle Solaini di convincermi a lasciare il basket per il padel, ma voi siete qui per ascoltare storie di basket e non di bar, quindi procediamo.

Sulla prima partita (Milano-Reggio Emilia 80-52) c’è obiettivamente pochissimo da dire. Semplicemente ingiocabile per differenza di roster troppo, troppo, troppo netta. Certo, c’è sempre un discorso, che facevo con lo stesso Elle, secondo cui, comunque, sono tutti professionisti. E che da professionisti non sono accettabili certi errori. Ma, in questi casi, è probabilmente meglio glissare. Quando non ce n’è, non ce n’è.

Sono stati quaranta minuti di sgambata tranquilla (eccezion fatta per coach Messina, sbraitante e sbuffante anche sul +30 ma, se avete seguito i miei racconti di questa stagione, troverete la cosa del tutto normale…), con il ritorno in auge di Zach LeDay, le spingardate di Kevin Punter e il reintegro di un Chacho Rodriguez ispirato, ma tutto raccolto di fronte a una concorrenza molto blanda. Le cose più interessanti sono stati gli applausi per Petteri Koponen, con un anno da recuperare fisicamente ma dotato di un’eleganza sempre regale nel tiro, e il debutto di Jakub Wojciechowski. Vero, sotto canestro c’era poco con cui potersi confrontare, ma Kuba ha convinto. Anzi, azzarderei anche un “ha quasi sorpreso”. Per atteggiamento, presenza fisica, concentrazione, attenzione. Una bella doppia cifra dalla panchina con un paio di piazzati dai 5 metri e di ricezioni profonde in pick’n’roll, in attesa della prova del fuoco di sabato, quando arriverà la Reyer. La Reyer vera, non i resti raccogliticci affrontati in campionato.

La palla a due tra Mitchell Watt e Julian Gamble apre il secondo quarto di finale delle Final Eight di Coppa Italia 2021 tra Umana Reyer Venezia e Virtus Segrafredo Bologna.

E qui passiamo alla seconda partita, quella che personalmente ho gustato di più, anche perché erano entrambe squadre che non vedevo dal vivo dalla scorsa Final Eight. E finalmente, credo si possa dire, sono tornato a vedere del gran bel basket italiano oltre a quello di Milano. Il risultato finale (89-82) non mi ha sorpreso. Anzi, mi aspettavo una vittoria di Venezia, anche se più combattuta. D’altronde, è stato lo stesso spartito dei quarti dello scorso anno: la Reyer è una delle pochissime squadre in grado di imbrigliare Milos Teodosic con l’organizzazione corale difensiva, ed è successa esattamente la stessa cosa del 2020. Tolto Teodosic dal gioco, la Virtus si innervosisce. Teodosic si innervosisce. In un’escalation che finisce col rendere la Reyer sempre più padrona della partita e del gioco. Non c’è stato un attimo in cui ho pensato, realmente, che la Virtus potesse rientrare e andare in vantaggio. Ha sempre inseguito la partita e, contro Venezia, non te lo puoi permettere. Gli allarmi, però, adesso cominciano a suonare in maniera pesante. Perché va bene l’assenza di Belinelli (ma in realtà hanno giocato senza di lui fino a due mesi fa), va bene che l’obiettivo verissimo della stagione è l’Eurocup, ma è già il terzo trofeo consecutivo sfuggito (assieme alla Coppa Italia 2020 e Supercoppa 2020) a una società che, invece, avrebbe una fame enorme di nuova argenteria da esporre in bacheca.

Come l’anno scorso, Teodosic non mi ha impressionato. Vero, ho avuto la sfortuna di vederlo soltanto due volte dal vivo in questo anno e mezzo, sempre in Coppa Italia, sempre contro Venezia e sempre contro una difesa perfetta. Oggi non l’ho mai visto tentare nessuno di quei passaggi acrobatici con cui delizia le notti di Eurocup. Non ha fatto nulla, ma nulla, fuori dagli schemi. Un avvenimento più unico che raro. Ma segno che gli avversari non gli hanno concesso il minimo centimetro in più. Mi ha colpito molto in positivo, invece, Vince Hunter, giocatore in clamorosa crescita nelle ultime settimane, e ormai sul punto di superare Julian Gamble, se non nelle gerarchie, per importanza all’interno della squadra. Atletico, rabbioso, feroce, rapace e contorsionista attorno al ferro, e ora anche deciso ad allargare il proprio raggio d’azione oltre l’arco. Se quel tiro da tre dovesse iniziare a entrare con maggior frequenza…

Su Mitchell Watt avrei voluto scrivere un’elegia già al termine della scorsa Final Eight, ma poi ho glissato. Oggi è stato statuario lì in mezzo, contro una squadra che gli opponeva una front-line ancora più grossa e fisica, anche se in realtà il break decisivo all’inizio del quarto periodo è arrivato, stranamente, con lui in panchina, quando la Reyer ha infilato tre-quattro canestroni di fila, segno di una grande qualità offensiva in accompagnamento a quella forza difensiva di cui parlavo in precedenza. Molto bene Wes Clark, both sides (anche in difesa su Teodosic), un’addizione che ho sottovalutato in partenza ma di cui ora dovrei ricredermi. Sempre poetico Austin Daye, giocatore smooth per eccellenza, che in quelle sue movenze felpate mi ricorda tanto Brandon Ingram.

Ma, chi l’ha vinta, oggi, sono stati soprattutto Stefano Tonut e Michael Bramos. Tonut è un giocatore cui darei immediatamente un contratto in bianco da firmare se avessi una squadra. Oggi ha giocato con una fisicità e una cattiveria agonistica strabordanti. D’altronde, per battere la Virtus, non si può fare in maniera differente. Ma è sempre bello vedere un azzurro protagonista a un livello così alto. Bramos non ha sbagliato niente. E non parlo soltanto di tiri, ma anche e soprattutto di scelte. Sempre la cosa giusta, al momento giusto, che sia un canestro, ma anche un passaggio, una difesa, un rimbalzo. Vederlo salire per il tiro, compatto, elegante, plastico, è poesia. Quando è in ritmo, sai già che quel tiro andrà dentro ancor prima che il pallone lasci la dita, la stessa identica sensazione che provi guardando Gigi Datome. Il mio amico PP, Pietro Pisaneschi, giustamente osserva: “Oh, ma ogni volta che fa quella finta di caricare il tiro tutti ci cascano. Ma è possibile?”. Sì, è possibile. Perché di fronte a un tiratore del genere, devi rispettare anche il più piccolo movimento. O sei morto.

scritto da Daniele Fantini