Il ritorno del centro: la stagione da MVP di Joel Embiid

Sabato 20 febbraio 2021

La differenza rispetto allo scorso anno non è il coach. Sono io che voglio essere dominante in ogni possesso.

Joel Embiid

L’ultimo centro ad aver vinto il titolo di MVP è stato Shaquille O’Neal, 21 anni fa, nella stagione che aprì il Three-Peat dei Los Angeles Lakers con Kobe Bryant e coach Phil Jackson. Da quel momento in poi, eccezion fatta per Tim Duncan, Kevin Garnett e Dirk Nowitzki, giocatori anche adattati da centro nella parte finale delle rispettive carriere ma che, nel loro momento migliore, coprivano tutt’altro ruolo in campo, è stato un dominio di esterni, tra grandissime point-guard realizzatrici ad ali versatili, com’è giusto e logico che sia nella naturale evoluzione del gioco, sempre più rapido, perimetrale e positionless. Fino ad oggi. Perché con i 50 punti sparati nella vittoria dei suoi Philadelphia 76ers sui Chicago Bulls, Joel Embiid non ha soltanto aggiornato il proprio career-high ma ha anche ribadito, a caratteri cubitali, la propria candidatura fortissima per riportare a centro-area quel premio di miglior giocatore della regular-season.

Con i suoi Sixers ancora in vetta alla classifica della Eastern Conference (20-10) nonostante il viaggio poco prolifico sulla costa ovest dell’ultima settimana, Embiid sta giocando il suo miglior basket della carriera, con massimi in punti realizzati (29.7), percentuale al tiro da due (54.0%) e da tre (39.7%), numero di tiri liberi realizzati (9.7) e tentati (11.3). Nelle ultime 13 gare è sempre andato a referto con almeno 25 punti, un’impresa che, nell’intera storia dei Sixers, è riuscita soltanto a Wilt Chamberlain e Allen Iverson, le due leggende più iconiche, assieme a Julius Erving, della franchigia.

Se mi marcano in maniera aggressiva, so usare il fisico per andare a canestro o in lunetta. Se mi lasciano spazio, posso sfoderare il mio movimento preferito: l’hesitation seguita da un tiro dalla media. È una soluzione che trovo facilmente in post.

Joel Embiid

A 26 anni di età e nel pieno della sua quinta stagione NBA, Embiid sembra ormai aver limato le sbavature che, tra eccessi di aggressività e agonismo nelle sue prime due annate uniti a limiti evidenti di lettura della difesa, del gioco e delle situazioni di partita nei successivi due, avevano frenato quel potenziale enorme ora espresso con piena forza. In questo momento storico, Embiid sta giocando una pallacanestro per molti versi unica nel suo genere, incarnando l’archetipo del centro moderno capace comunque di conservare un chiaro retaggio del basket dello scorso ventennio. Perché Embiid combina la tecnica, il tocco, la delicatezza e la rapidità di piedi di un big-man odierno, imprescindibili per poter sopravvivere all’interno di un gioco sempre più veloce e offensivo, con la riscoperta del post-up, del mid-range, e della capacità di fronteggiare il canestro dal post-alto o dalle tacche.

Il tiro dai 3/5 metri, sia fronte-canestro che in svitamento o in fade-away, preso come una perfetta ala piccola, è ormai diventato la sua arma più affilata e raffinata, una soluzione che nel basket moderno, specialmente NBA, si vede in maniera sempre più rara ma che, se riadottata e riadattata con efficacia, risulta letale contro difese non più abituate a lavorare in quella situazione e posizione di campo. Nonostante continui a non disdegnare il tiro da tre punti (ma i tre tentativi di media a partita valgono il suo career-low, segno di una chiara tendenza ad abbandonare il perimetro dopo i 4.1 fatti segnare due anni fa), Embiid sta costruendo il proprio fortino attorno al verniciato, lì dove può massimizzare la propria efficacia con quel mix di tecnica e forza fisica che lo rende dominante nelle situazioni di isolamento o post-up in 1vs1. Insomma, un centro moderno ma dal retrogusto classico: sarà abbastanza per riportare la statuetta di MVP tra le manone di un big-man?

scritto da Daniele Fantini