Venti stagioni in NBA, 6 anelli vinti, 2 volte MVP delle Finals, 6 volte MVP della Lega, 19 volte All-Star (record all-time), miglior realizzatore (38.387 punti) e giocatore con più canestri segnati (15.837) nella storia della NBA. Se non avete mai visto giocare Kareem Abdul-Jabbar, questi semplici numeri vi possono già dare un’idea della sua dimensione extra-terrestre. Quando si parla del miglior centro dell’intera storia NBA, il discorso tende sempre a ridursi a tre soli elementi: Wilt Chamberlain, Shaquille O’Neal e Kareem.
- La Top 5 dei migliori realizzatori della storia della NBA
Giocatore | Punti segnati | Punti per partita |
Kareem Abdul-Jabbar | 38.387 | 24.6 |
Karl Malone | 36.928 | 25.0 |
LeBron James | 34.087 | 27.1 |
Kobe Bryant | 33.643 | 25.0 |
Michael Jordan | 32.292 | 30.1 |
- La Top 5 dei giocatori con più canestri segnati nella storia della NBA
Giocatore | Tiri segnati | Tiri tentati | Percentuale |
Kareem Abdul-Jabbar | 15.837 | 28.307 | 55.9% |
Karl Malone | 13.528 | 26.210 | 51.6% |
Wilt Chamberlain | 12.681 | 23.497 | 54.0% |
LeBron James | 12.424 | 24.654 | 50.4% |
Michael Jordan | 12.192 | 24.537 | 49.7% |
Lo sky-hook: il gancio-cielo che unisce grazia, leggerezza ed efficacia
That ball is coming out of the sky. That’s a sky-hook (Il pallone sta arrivando dal cielo. È un gancio-cielo).
Eddie Doucette, telecronista dei Milwaukee Bucks (1974)
Abdul-Jabbar fonde il basket con la leggerezza, rendendo aggraziato il ruolo del centro. I suoi 218 centimetri, un’altezza spaventosa per l’epoca, si uniscono a un corpo esile e slanciato, a piedi mobili e veloci. Kareem si distingue dal centro tradizionale, statico, muscolare, di peso, che gioca a spallate per avvicinarsi il più possibile al canestro. Lui si muove con grazia, eleganza, rapidità, tecnica e fondamentali, lavorando a distanza maggiore dal ferro.
Lo skyhook è un tiro da danza classica, per il ritmo e l’equilibrio necessari. È una specie di pirouette.
Oscar Robertson
Lo fa con lo sky-hook, il gancio-cielo, un movimento di tiro particolarissimo imparato da giovane, l’unico, stando alle sue stesse parole, che gli permetteva di alzare le braccia verso l’alto senza rischiare di colpirsi in faccia. Lo sky-hook è un’apoteosi di stile ed eleganza, un gancio effettuato sfruttando l’intera lunghezza e spinta del corpo, in modo da rilasciare il pallone da altezze impossibili da stoppare (tra i 3.00 e i 3.30 metri) e il braccio esterno utilizzato come scudo per creare ulteriore separazione dal difensore: Kareem lo perfeziona talmente bene nel corso degli anni da diventare ambidestro e da poterlo sfruttare anche come tiro dalla media distanza. È un movimento unico, mai più ripetuto con la stessa grazia ed efficacia nella storia della NBA.
Gli inizi: dal ragazzino predestinato al trionfo con Milwaukee
Buono e ottimo sono separati soltanto dallo spirito di sacrificio.
Kareem Abdul-Jabbar
Nato come Lew Alcindor, Kareem è straordinario sin da ragazzino: a 14 anni è già alto 203 cm e capace di schiacciare con estrema facilità. Al liceo, trascina la sua squadra a una serie di 71 vittorie consecutive che gli spalanca le porte del college a UCLA: con un record di 88-2 (nelle due sconfitte, una è assente, l’altra infortunato a un occhio, l’inizio dei problemi che lo costringeranno a indossare i suoi tipici occhialoni), vince il titolo NCAA e il premio di MVP del torneo per tre volte consecutive. È talmente dominante da spingere la NCAA a bandire le schiacciate (un gesto tecnico che utilizza molto spesso) nel 1967, regola rimasta in vigore per dieci anni.
Numeri di questo genere lo rendono l’ovvia prima scelta al draft del 1969 dei Milwaukee Bucks, franchigia al secondo anno di attività, capace di battere la concorrenza degli Harlem Globetrotters (che gli offrono un milione di dollari a stagione) e dei New York Nets, squadra della ABA, la Lega concorrenziale alla NBA. A Milwaukee è subito una star: vince a mani basse il premio di Rookie of the Year (28.8 punti, 14.5 rimbalzi di media) e, l’anno successivo, con l’arrivo del veterano Oscar Robertson, trova la spalla ideale per trascinare i Bucks al primo e finora unico titolo della loro storia. Decisivo il trionfo in finale di Conference sui Los Angeles Lakers di Wilt Chamberlain, l’inizio di una grande rivalità tra due generazioni.
La conversione all’islam e il Kareem anti-divo
La conquista del primo anello precede la grande svolta a livello personale. L’uomo fino a quel momento conosciuto con il nome di Lew Alcindor abbraccia in maniera totale la fede islamica, cui si è convertito qualche anno prima, e cambia il proprio nome in Kareem Abdul-Jabbar, ossia, in una traduzione un po’ grezza, “nobile servo dell’Onnipotente”.
Nonostante le sue cifre rimangano ottime e, con l’aiuto di Robertson, riesca a raggiungere le Finals per la seconda volta nel 1974 (con vittoria però dei Boston Celtics per 4-3), la vita culturale di Milwaukee non è più sufficiente alle sue esigenze. La personalità di Kareem è molto differente dal giocatore-medio dell’epoca: figlio di un jazzista, grande appassionato di musica, storia e politica, possiede un’intelligenza sopraffina e un campo di interessi estremamente vario. Non spicca, però, per qualità sociali: non è un compagnone in spogliatoio, né un chiacchierone con la stampa e nemmeno molto disponibile con i fan. I suoi passatempi preferiti sono riflettere e leggere: anche durante le interviste, è solito non staccare mai gli occhi dal quotidiano del giorno. Kareem ha bisogno di vivere un ambiente culturale più vario e interessante, e nell’estate del 1974 chiede di essere ceduto: si apre così la seconda parte della carriera con i Los Angeles Lakers.
Kareem e Magic: i Los Angeles Lakers dello “Showtime”
Un giocatore può essere un elemento fondamentale per una squadra, ma un giocatore, da solo, non fa una squadra.
Kareem Abdul-Jabbar
Orfani di Wilt Chamberlain, ritiratosi nel 1973, i Lakers non sono una buona squadra. Nonostante due titoli di MVP della Lega vinti, le prime cinque stagioni sono complicate (addirittura senza playoff le prime due). La situazione cambia quando, nel 1979, i Lakers mettono le mani su Magic Johnson con la prima scelta al draft. Subito dominante nel suo anno da rookie, Magic forma con Kareem la coppia playmaker-centro più forte del periodo: i Lakers centrano otto qualificazioni alle Finals in dieci stagioni e vincono cinque anelli, aprendo l’epoca del cosiddetto “Showtime”.
Kareem è un giocatore perfetto per quel sistema: la sua presenza difensiva (2.1 stoppate di media in carriera) e la sua capacità di correre velocemente il campo nelle situazioni in transizione gestite a meraviglia da Magic lo rendono un’arma impropria e totale. Si ritira a 42 anni di età, con un fisico ancora perfettamente funzionante grazie a una routine di allenamento pazzesca, un altro dei tanti segreti che gli ha permesso di lasciarsi alle spalle un’eredità straordinaria.
scritto da Daniele Fantini