Kevin Garnett, la “superstar totale” che ha rivoluzionato il volto della pallacanestro

Non conta quanto ti alleni forte, perché ci sarà sempre qualcuno che lo farà più di te. E quel qualcuno sono io.

Kevin Garnett

Negli anni ’90, la NBA è ancora una lega molto tradizionale, in cui i big-men sono giocatori fisici, grossi, muscolari, con raggio di tiro e ball-handling limitati. Un giorno di primavera del 1995, sui taccuini di tanti scout compare un liceale con caratteristiche mai viste prima: è un 2.11 atletico, longilineo, con l’apertura alare di un uccello preistorico, l’elasticità di un giaguaro e l’eleganza di una gazzella. Un giocatore in grado di fare qualsiasi cosa in campo: stoppare un tiro, raccogliere un rimbalzo, mettere palla a terra per condurre un contropiede e finire al ferro con una schiacciata. Il mondo sportivo – e non solo – sta per fare la conoscenza con Kevin Garnett“The Revolution”, l’uomo che ha rivoluzionato la pallacanestro, uno dei primissimi pionieri che ha aperto la strada al positionless basketball dei tempi moderni.

Kevin Garnett in uno dei suoi primi allenamenti con i Minnesota Timberwolves nel 1995.

“The Big Ticket”: Kevin Garnett è il volto dei Minnesota Timberwolves

Non sono uno che si arrende quando le cose si fanno dure. È un comportamento da codardi, e io non lo sono.

Kevin Garnett

Nel 1995, i Minnesota Timberwolves sono una franchigia giovane e sgangherata, comparsa da poco sul grande scacchiere della NBA: in 6 stagioni non sono mai andati oltre un massimo di 29 vittorie. Frenati da un mercato relativamente piccolo, hanno scarso potere di influenza sui free-agent, e la soluzione potenzialmente definitiva è anche quella più rischiosa: anticipare la concorrenza e mettere il proprio futuro nelle mani di uno scarno 19enne scegliendolo direttamente dall’high school (Farragut Academy), una mossa che non si vedeva dall’ormai lontano 1975.

Kevin Garnett in azione con la maglia dei Minnesota Timberwolves durante una partita NBA del 2005.

Bastano soltanto un paio di stagioni per ripagare l’investimento: Garnett diventa una star e trascina i T-Wolves a otto qualificazioni consecutive ai playoff, rendendo Minnesota una delle piazze più calde della Western Conference. Garnett si trasforma così in “The Big Ticket” (la grande attrazione che vende i biglietti del palazzetto) e “The Franchise” (il volto della franchigia), nickname dal gusto agrodolce per un giocatore in grado di reggere sulle proprie spalle il peso della squadra intera ma anche incapace di raggiungere traguardi importanti a causa della debolezza del supporting-cast, bloccato sì dalla ristrettezza del mercato di Minneapolis ma anche dal contrattone da 126 milioni in 6 anni firmato nel 1997, l’accordo economico più grande mai visto in NBA fino a quel momento.

L’apice con Minnesota e l’anello vinto con i Boston Celtics

Non gioco per sudare. Gioco per vincere.

Kevin Garnett
Kevin Garnett, Ray Allen e Paul Pierce festeggiano il titolo vinto dai Boston Celtics nel 2008.

Garnett raggiunge l’apice a Minnesota nel 2004, quando viene nominato MVP e supera il primo turno dei playoff per la prima volta dopo una serie di sette frustranti eliminazioni consecutive: la squadra è molto migliorata con gli arrivi di Sam Cassell e Latrell Sprewell, ma il cammino si interrompe in Finale di Conference per mano dei Los Angeles Lakers. L’anello sognato si concretizza soltanto nel 2008, quando una trade interrompe una lunghissima carriera di 12 anni con i T-Wolves e lo spedisce ai Boston Celtics in cambio di sette giocatori, la più grande sproporzione mai registrata fino a quel momento in NBA. A Boston forma un trio di superstar con Paul Pierce Ray Allen che rievoca l’epoca leggendaria dei “Big Three”, quando i Celtics dominavano la NBA con Larry Bird, Kevin McHale e Robert Parish. Garnett vince il suo primo e unico titolo, ma quei Celtics ridisegnano lo scacchiere del mercato NBA: si scatena una corsa per la formazione di terzetti invincibili, perfettamente espressa nei titoli poi conquistati dai Miami Heat (LeBron James, Dwyane Wade e Chris Bosh) e dai Golden State Warriors, ancora più estremizzata con i Big-Four al momento dell’ingaggio di Kevin Durant.

Attacco e difesa: il two-way player per eccellenza

Garnett era un mago della difesa. Aveva braccia lunghe e grande forza atletica, questo gli permetteva di tenere sotto controllo ampie zone di campo intercettando palloni e dando indicazioni ai compagni.

Kobe Bryant
Kobe Bryant in azione contro Kevin Garnett durante una partita del 2005 tra Los Angeles Lakers e Minnesota Timberwolves.

L’eredità lasciata da Kevin Garnett nell’immaginario collettivo è enorme. Garnett rappresenta lo stereotipo non solo del giocatore franchigia per eccellenza ma anche e soprattutto quello del giocatore-totale, una superstar tanto determinante in attacco quanto in difesa, l’epitome del two-way player incarnata al giorno d’oggi da Kawhi Leonard. Garnett è un giocatore rivoluzionario per l’epoca: il suo mix di qualità tecniche, atletiche, di coordinazione ed equilibrio lo rendono il perfetto esempio di quel ruolo ibrido di point-forward che apre la grande trasformazione del gioco NBA verso la modernità attuale. Ma, oltre alle sue schiacciate, ai suoi jumper dalla media e ai suoi assist sparati da 211 cm di altezza, Garnett rappresenta l’immagine perfetta della superstar difensiva, pronta non soltanto ad aggredire ogni pallone come fosse il possesso decisivo, ma anche e soprattutto capace di trasformare e coordinare l’intero sistema difensivo della propria squadra, con quell’esempio di fame, intensità, grinta e capacità di intimidazione che pochissime superstar del suo calibro hanno avuto. Garnett è stato soltanto uno dei quattro giocatori nella storia della NBA a vincere i premi di MVP e di Miglior Difensore, e nonostante un arsenale complessivo enorme che accompagna per 21 stagioni in NBA, guida la Lega per cinque anni consecutivi in rimbalzi difensivi.

scritto da Daniele Fantini