Kyle Kuric, la vita cambiata dal tumore: dalla Summer League al Barcellona

La prima volta in cui ho visto giocare Kyle Kuric da professionista fu, se non sbaglio, durante la Summer League del 2016, con la canotta dei Phoenix Suns. In realtà, scoprii poi che ne giocò altre due negli anni precedenti, passando però sottotraccia, almeno per me. La NBA, per lui, rimase soltanto un miraggio, ma quel giocatore mi piacque subito. In un contesto spesso disorganizzato come quello di Las Vegas, Kuric emergeva per quelle stesse caratteristiche che ne hanno poi fatto un ottimo giocatore a livello di Eurolega: intelligenza tattica, pericolosità nel tiro da fuori e una velocità impressionante di caricamento e rilascio del tiro stesso.

Ora, a distanza di qualche anno, Kuric è un giocatore maturato sul campo e, soprattutto, come persona dopo la malattia sofferta nel 2015, quel tumore al cervello di cui porta ancora ben visibili i segni dell’operazione sulla tempia. È stato proprio quel momento a ridefinire la sua personalissima concezione del basket e della vita. Ed è forse anche questo il motivo per cui possiede una capacità di comunicazione particolare: Kuric parla in modo rapido, ma preciso, fornendo l’esatta informazione richiesta, senza troppi giri di parole o frasi di circostanza. Il tempo, per lui, è diventato materia preziosa.

Il tumore e il ritorno in campo

“La malattia è stata qualcosa che è emersa e mi ha colpito all’improvviso, ma che mi ha anche spinto a voler tornare a giocare il prima possibile e, soprattutto, a migliorarmi rispetto al passato. Sono stati questi i motivi per cui sono rientrato, e credo di essere riuscito in entrambe le cose. Da un punto di vista più personale, invece, mi ha cambiato la vita. Ha cambiato il mio aspetto fisico, come succede a tutte le persone che sono colpite dallo stesso male, e mi ha fatto capire quanto la vita sia fragile in realtà. Mi ha fatto riflettere e comprendere quali fossero realmente le cose importanti che avrei voluto fare nella vita”.

L’esperienza in Summer League: quali sono gli obiettivi?

“Dipende da che tipo di giocatore sei. Se sei stato draftato, allora vai alla Summer League per giocare da titolare, cominciare a prendere confidenza con lo stile di vita NBA, rappresentare la squadra che ti ha scelto dandoti fiducia e gettare le basi per costruire la tua carriera futura. Se invece non sei stato scelto, il tuo obiettivo è mostrare agli allenatori le tue capacità e il tuo potenziale per cercare di trovare un posto in G-League, oppure per impressionare gli scout e trovare un ingaggio Oltreoceano. In linea di massima, il 50% dei giocatori della Summer League ha come obiettivo la G-League, e l’altro 50% un posto in una squadra europea o al di fuori degli Stati Uniti”.

Un tiratore mortifero, ma non solo…

“Sono cresciuto nello Stato dell’Indiana, dove ti mettono subito una palla in mano e ti fanno cominciare a tirare, quindi è stato più facile per me avvicinarmi a questo fondamentale. JJ Redick è un giocatore che ho sempre seguito e ammirato molto anche ai tempi del college, per quella sua capacità di tirare e segnare da qualsiasi zona del campo. E un po’, adesso, credo di assomigliargli come stile di gioco…

Col tempo, però, ho aggiunto altre caratteristiche al mio repertorio: saper mettere palla a terra e leggere le linee di passaggio sono aspetti fondamentali nella pallacanestro di oggi. E poi, tirare e segnare da lontano era bello, sì, ma quando sei ragazzino il sogno di tutti è riuscire a schiacciare. Così ho cominciato a lavorare per rinforzare anche la parte inferiore del corpo per migliorare la mia verticalità e capacità di salto, e sono arrivato a vincere la gara delle schiacciate a livello universitario”.

scritto da Daniele Fantini