Le origini del basket: il papà, James Naismith

Almonte, Ontario (Canada), 1869 – Lungo la strada per tornare a casa dalla scuola di Bennies Corners c’è una roccia enorme, che giace da millenni proprio sul ciglio. Un gruppo di bambini si ferma lì davanti, raccoglie una manciata di sassi di medie dimensioni e ne appoggia alcuni sulla cima della roccia stessa. Uno è del guardiano, gli altri di alcuni bambini che devono riuscire a recuperarli senza farsi toccare dal guardiano (un po’ come il nostro guardie-e-ladri). I bambini restanti, posizionati a una certa distanza dalla roccia, possono lanciare i loro sassi per far cadere quello del guardiano: quando questo è a terra, infatti, il guardiano stesso non può più prendere gli altri bambini fino a quando non l’ha riposizionato sulla roccia. Tra questi bimbi ce n’è uno che ha una tecnica molto particolare. Anziché tirare dritto-per-dritto con grande violenza il proprio sasso contro quello del guardiano, si accorge che, lanciandolo più delicatamente e facendogli compiere una sorta di parabola, ha maggiori possibilità di colpirlo e di farlo cadere dalla roccia.

YMCA International Training School, Springfield (Massachusetts), dicembre 1891 – Ventidue anni più tardi, quel bimbo è professore di educazione fisica in una delle università più prestigiose dell’Est degli Stati Uniti. In un gelido giorno di dicembre, con la neve a imbiancare i tetti delle case del New England, il Dr. Luther Glick, presidente del ramo di educazione fisica della scuola, lo chiama: “Professor Naismith? Bisogna fare qualcosa per i nostri ragazzi. Con questo freddo che li costringe a restare chiusi nell’università, stanno diventando troppo nervosi e indisciplinati. Le do 14 giorni di tempo per inventare un nuovo gioco con cui possano sfogarsi un po’”.

Ed è vero. Con l’arrivo dell’inverno, gli studenti sono costretti ad abbandonare tutte le attività all’aperto praticate regolarmente come l’atletica, il rugby, il calcio, il football, il lacrosse e il baseball, e l’hockey non può soddisfare tutti. Le indicazioni fornite a Naismith sono quelle di un gioco che possa essere praticato al chiuso, in spazi relativamente ristretti, che non sia pericoloso e che permetta comunque ai ragazzi di tenersi in forma. Come mezzo primario, Naismith sceglie la palla da calcio, più grossa e più morbida rispetto agli attrezzi utilizzati per le altre discipline, e per evitare i contatti fisici impedisce al giocatore che ha ricevuto la palla di spostarsi per il campo quando ne è in possesso. Il pallone può muoversi, sì, ma soltanto attraverso il passaggio: il palleggio, vietato, anzi, nemmeno immaginato, sarà introdotto solamente diversi anni più tardi.

James Naismith
James Naismith

Analizzando le altre discipline sportive, Naismith nota come il numero e l’intensità dei contatti siano maggiori nelle zone circostanti le porte. Dunque, per evitare infortuni, capisce che è necessario mettere il “bersaglio” in una zona difficilmente accessibile. Ma dove? Sopra le teste dei giocatori, in modo tale da costringerli a tirare non di forza, ma di precisione.

“Giocando a duck on a rock (il gioco che abbiamo descritto all’inizio della nostra storia, ndr) ricordo come in certi casi lanciavamo i sassi con una traiettoria curva – scrive Naismith nel suo diario -, cosicché la precisione fosse più importante della semplice forza. E allora ho capito che, mettendo il bersaglio in posizione orizzontale anziché verticale, avrei costretto i giocatori a tirare in un modo che rendesse inutile l’utilizzo della semplice forza bruta. Così pensai di utilizzare una scatola: i giocatori avrebbero dovuto fare centro con un pallone per segnare”.

Naismith, così, bussa alla porta della segreteria della scuola: “Scusate – domanda -, non è che avreste da darmi in prestito un paio di scatolini da 18 pollici (circa 45 cm, ndr)?”.

Il segretario si guarda attorno per qualche istante e gli risponde: “No, professor Naismith. Mi spiace. Ma avrei due cestini per raccogliere le pesche che stavo per buttare via. Sono più o meno della stessa dimensione. Le possono andare bene lo stesso?”.

James Naismith statua
La statua dedicata a James Naismith

Naismith accetta i cestini e li appende alla ringhiera del ballatoio della palestra, a 3.05 metri di altezza (la stessa cui sono posti i canestri oggi): solo in secondo tempo capirà che sarà meglio bucare il fondo dei cestini per evitare di dover ribaltarli ogni volta dopo un punto segnato, e mettere una protezione (il moderno tabellone) tra il cestino e la ringhiera per evitare, invece, che gli spettatori deviino dall’alto i tiri dei giocatori.

Poi, appende alla porta della palestra un manifesto con le 13 regole fondamentali del nuovo gioco, battezzato “Basket Ball” (basket significa, appunto, cestino). In un primo momento, gli studenti di YMCA studiano il regolamento in modo sospettoso (non è la prima volta che Naismith inventa e propone un gioco nuovo, e i precedenti non sono particolarmente gloriosi), poi, però, decidono di provare e dare vita alla prima partita di pallacanestro della storia.

In un freddo pomeriggio del New England di fine Ottocento, sul campo della YMCA del Masschusetts si sfidano così 18 uomini, 9 per squadra, che si passano un grosso e pesante pallone da calcio di cuoio scuro cucito a mano nel tentativo di portarsi nella posizione più favorevole per lanciarlo dentro un cestino di pesche appeso alle sbarre di ferro di una ringhiera: sul campo non ci sono linee, non esiste il tiro da tre punti, sulla panchina non ci sono allenatori né time-out, ed è proibito ogni tipo di contatto, pena l’esclusione dalla partita dopo il secondo fallo commesso. Non è esattamente il tipo di basket che siete abituati a vedere oggi, ma i primi rudimenti di un gioco che attecchirà molto presto nella cultura sportiva popolare nordamericana sono gettati. Sì, grazie a una sassaiola tra bambini, una spruzzata di neve, e un cestino di pesche…

scritto da Daniele Fantini