Le squadre più forti di sempre: la Scavolini Pesaro di Darwin Cook e Darren Daye

Quella sera andai a cena con Darwin Cook. Stavo cercando le parole giuste per dirglielo, ma lui, all’improvviso, mi afferra il braccio, mi guarda negli occhi e mi dice: ‘Coach, I’m you man’. Conta la luce negli occhi dei giocatori. Avevo deciso, anche se all’inizio avevo tutti contro.

Valerio Bianchini

Stagione 1987-88. Pesaro, acquistata una decina d’anni prima dalla famiglia Scavolini, va alla ricerca della definitiva consacrazione dopo un lungo percorso di crescita e maturazione che l’ha portata a costruire un solido nucleo di italiani, una struttura societaria tra le più importanti d’Italia e un pubblico affezionatissimo e caldissimo che, ogni domenica, prende d’assalto “L’Hangar”, il Palasport di Viale dei Partigiani. Nel 1982, Pesaro si affaccia finalmente alla finestra del basket che conta con la finale-scudetto persa contro l’Olimpia Milano, una delusione poi parzialmente cancellata dal successo in Coppa delle Coppe nel 1983 contro il Villeurbanne e la conquista della Coppa Italia del 1985 contro Varese. Ma, quando la Vuelle sembra destinata a centrare il grande obiettivo, arriva un’altra serie di bruciature dolorose: seconda finale-scudetto persa contro Milano nel 1985, e doppia sconfitta in finale di Coppa delle Coppe, nel 1986 contro il Barcellona e nel 1987 contro il Villeurbanne.

È il tempo della svolta, che inizia con la chiamata sulla panchina di Valerio Bianchini, allenatore di esperienza (non a caso viene chiamato “Il Vate”) che ha già vinto due scudetti con Roma e Cantù. Al suo fianco c’è un giovanissimo Sergio Scariolo, all’inizio di una rapidissima gavetta che lo catapulterà molto presto a scrivere un capitolo importante nella storia della società e a entrare nell’élite del basket internazionale. Al gruppo storico italiano, composto da Walter Magnifico, Ario Costa, Andrea Gracis, Renzo Vecchiato, Domenico Zampolini e Giuseppe Natali, vengono affiancati Aza Petrovic, fratello del più noto Drazen, in arrivo dal Cibona Zagabria, e Greg Ballard, realizzatore pescato in NBA dai Golden State Warriors. Sulla carta, la squadra ha un organico importante, ma c’è qualcosa che non quadra…

Valerio Bianchini e Sergio Scariolo sulla panchina della Scavolini Pesaro, 1988
Valerio Bianchini e Sergio Scariolo sulla panchina della Scavolini Pesaro, 1988

Il volo segreto negli Stati Uniti

Valter Scavolini gestisce la Vuelle come una branca della sua azienda di famiglia: certo, Bianchini, forte di una carriera e di un’esperienza che pochi possono vantare nel nostro campionato, ha virtualmente carta bianca, ma, per il re delle cucine, tagliare un giocatore equivale quasi a licenziare un dipendente fidato. E così, quando il Vate si rende definitivamente conto che alla squadra serve maggior atletismo, fisicità e leadership per poter realmente centrare il grande obiettivo, si finge malato prima della trasferta a Livorno della quarta giornata di ritorno e, in segreto, sale su un aereo per gli Stati Uniti: vuole vedere Darwin Cook giocare dal vivo. Lo fa a Lacrosse, in una partita in cui l’ex-giocatore di Washington e New Jersey viene letteralmente preso a pallate da Sugar Ray Richardson, poi passato anche per il nostro campionato tra Virtus Bologna, la stessa Livorno e Forlì. Mentre dall’Italia gli giunge voce che Aza Petrovic ne ha messi 39 contro Livorno, Bianchini, sconfortato, quella sera va comunque a cena con Cook: a tavola, il coach di Pesaro cerca le parole giuste per spiegargli come abbia deciso di cambiare idea, quando il giocatore gli afferra il braccio e, guardandolo dritto negli occhi, con la luce della determinazione più pura e selvaggia, gli sussurra: “Coach, I’m your man”.

Il “Darren & Darwin Show”

Cook sbarca a Pesaro alla decima di ritorno, sconfitta contro Varese. Serviranno ancora un paio di settimane perché si componga una delle coppie più dominanti della storia della pallacanestro italiana, quella con Darren Daye, il “Cerbiatto”, così chiamato per il modo estremamente leggero e naturale con cui attacca il canestro in un’epoca in cui non servono ancora soprannomi minacciosi per spiegare la grandezza di un giocatore. Il debutto è un’altra sconfitta, la quarta consecutiva, contro la Virtus Bologna, ma Pesaro vince le due successive contro Caserta e Cantù, artigliando il quinto posto in regular-season: non vale la diretta qualificazione ai quarti di finale (trattamento riservato alle prime 4), ma l’accoppiamento con la seconda classificata della A2 (Reggio Emilia) al primo turno. Il clima iniziale attorno a una squadra che si appresta ad affrontare i playoff con un assetto completamente rivoluzionato non è certo dei più favorevoli: al debutto contro Reggio, uno spettatore urla: “Bianchini, hai cambiato più neri tu di Moana Pozzi!”. Ma il “Darren & Darwin Show” sta per cominciare…

La rinvicita su Milano e lo scudetto

Uscito da UCLA e scelto con la 57 dagli allora Washington Bullets, Darren Daye gioca poi due stagioni con i Boston Celtics di Larry Bird e Kevin McHale: finisce nella cuccia per un’intervista in cui si rivela essere un po’ troppo linguacciuto (ma, d’altronde, in quella squadra lo spazio è relativamente limitato) e, quando approda a Pesaro, ha una voglia folle di spaccare il mondo. Attaccante sontuoso, dai mezzi tecnici straordinari uniti a un primo passo bruciante che lo rende pressoché incontenibile in 1vs1, ma anche straordinario ricuperatore di palloni e grande rimbalzata aggiunto, con capacità di far ripartire immediatamente l’azione offensiva, Daye sviluppa immediatamente un’intesa straordinaria con Cook. I due americani di Pesaro giocano una pallacanestro d’altro livello, rapida, veloce, “verticale” potremmo quasi definirla in un’epoca in cui si giocava ancora ai 30” e con approcci molto più macchinosi, con un mix di qualità offensive e di costruzione/visione di gioco fuori dal comune, che li rendono sì realizzatori implacabili ma anche grandi passatori e assist-man: Walter Magnifico, a quei tempi un 2.09 capace di correre il campo come pochi, li ringrazierà spesso per i cioccolatini soltanto da scartare ricevuti sotto canestro.

Eliminata Reggio Emilia in 3 partite, Pesaro prosegue la cavalcata con una doppia impresa realizzata con il fattore-campo sfavorevole: battute Caserta (2-0) e la capolista Varese (2-1), arriva il momento della finale contro la Tracer Milano di D’Antoni Meneghin, McAdoo e Casalini, il terzo atto di quella che sta diventando una delle più grandi rivalità della pallacanestro italiana. Pesaro si presenta ai blocchi di partenza ancora da “intrusa” rispetto alle superpotenze dell’epoca: serve qualcosa che possa innescare la miccia e creare un clima di giusta tensione, e l’occasione arriva attraverso un articolo di “Repubblica” che titola, virgolettando Bianchini, “Casalini è il robocop di Peterson”. L’uscita, in realtà, è della stessa giornalista, Emanuela Audisio, ma il Vate non smentisce, e, anzi, ne approfitta per lasciare che il corso degli eventi faccia la sua parte. Il formato della serie-scudetto è 1-2-1-1, con la bella in programma al PalaTrussardi, ma Pesaro sfrutta subito l’esordio in Viale dei Partigiani portando a casa gara-1 90-82 con 23 punti e 13 rimbalzi di Daye e 23 di Magnifico.

In gara-2 si va a Milano: nel pre-partita, Daye si avvicina al telecronista di Antenna3, l’emittente che ai tempi trasmetteva i match della Scavolini, e gli chiede di preparare un filmato con i suoi highlights del campionato. “Ok – la risposta -. Se vincete, è tutto gratis, ma, se perdete, paghi tu, cassette e lavoro del tecnico”. “Nessun problema – replica Daye -. Vinciamo stasera e chiudiamo poi i conti a Pesaro”.

E gara-2 è ancora della Scavo, che ribalta il fattore campo passando 86-83 con 27+10 di Magnifico e 17 a testa di Cook e Daye. Il terzo atto della serie vede il colpo di coda dell’Olimpia, vincente 115-108 con 32 di Bob McAdoo e 26 di Ricky Brown, ma, proprio come previsto da Daye, Pesaro chiude i giochi in gara-4, al ritorno in Viale dei Partigiani: 98-87 con 25 punti e 7 assist di Daye, 20 di Cook e 21 di Magnifico: arriva, così il primo scudetto della storia, poi bissato due anni dopo con il 29enne Sergio Scariolo in panchina, quando Pesaro ricostruisce la sua coppia d’oro riportando in Italia lo stesso Cook, tornato in NBA per vestire le maglie di San Antonio e Denver.

scritto da Daniele Fantini