Mente e difesa, le ragioni del crollo di Milano ad Atene

Che Milano e Panathinaikos abbiano giocato due partite dall’andamento identico, andata e ritorno, probabilmente non è un caso. Anche se la classifica vorrebbe suggerire altrimenti, il Pana è la classica squadra con cui l’Olimpia si accoppia male, specialmente in questo periodo dell’anno di calo fisico e, soprattutto, della fluidità e della creatività offensiva. I rimedi non sono semplici da trovare, perché la fatica non si combatte certo con quattro trasferte in dieci giorni. E la luce in attacco non si riaccende in maniera magica e improvvisa pigiando semplicemente un interruttore, soprattutto quando gli infortuni (leggi Delaney e Roll) non concedono la possibilità di cercare alternative.

Quel +20 toccato nella parte finale del secondo periodo sembrava presagire una serata ghiotta, ricalcando gli stessi, ottimi spunti forniti dalla trasferta di due giorni prima a Belgrado. Un bel successo largo, comodo, con difesa del quarto posto in classifica e possibilità di giocare una partita meno nervosa contro l’arrembante Efes nell’ultima di regular-season. Invece, sarà proprio quella gara, contro il peggior avversario da affrontare in questo momento della stagione, a decretare il vantaggio, o meno, del fattore-campo nei playoff. Sempre che il Fenerbahçe non faccia l’en plein contro Barcellona e Real Madrid, escludendo l’Olimpia in maniera matematica dalla top four.

Ma dopo quel +20 la partita è girata sul piano mentale. E chi gioca lo sa bene, quanto cervello e difesa siano collegati a doppio filo tra loro. E quanto una solida difesa dia poi fiducia per giocare in attacco. Le percentuali nel tiro dall’arco (scadute dal 7/15 del primo tempo al 9/33 di fine gara) sono una diretta derivazione di questo gioco psicologico. Difendi bene, frustri l’avversario, trovi migliori occasioni per segnare. Molli un attimo, e la partita è subito a rischio di ribaltone, soprattutto contro una squadra fisica come il Pana, caratteristica sempre sofferta da Milano in questa stagione (vedi anche le ultime sconfitte con Barcellona e Baskonia).

In questi mesi abbiamo sempre parlato dell’importanza della gestione di Sergio Rodriguez nella ricerca dell’equilibrio perfetto tra quello che può aggiungere in attacco rispetto a quello che toglie, invece, nella metacampo difensiva. Ma il ko di Michael Roll ha sparigliato le carte. Il Pana ha cominciato la rimonta mettendo l’Olimpia in difficoltà sul perimetro e azionando le ormai classiche giocate in alley-oop per Georgios Papagiannis, prendendo d’infilata una difesa rimasta nel mezzo, con le extra-rotazioni dei lunghi a sguarnire l’area. Sulla metacampo opposta, sono emerse invece le difficoltà di lettura e di attacco contro il cambio difensivo sistematico. Perché l’Olimpia non ha un vero rollante pericoloso e, con questa versione scolorita di Zach LeDay, nemmeno un lungo per sfruttare i vantaggi in post-up. E, con Rodriguez sovrautilizzato, nemmeno un creatore dal palleggio con freschezza fisica e mentale per attaccare i big-man avversari dal palleggio.

L’esito è stato chiaro. Sfiducia generale, nervosismo, costruzione di tiri a più bassa percentuale, perdita della coordinazione nelle collaborazioni difensive. Una spirale negativa che tende ad arrotolarsi sempre più su se stessa, e da cui è difficile uscire. E, quando le mani sono insicure, anche i tiri più semplici, automatici, diventano complessi. Vedi le triple decisive (apertissime e dalle loro posizioni preferite) lasciate sul ferro da Punter e Shields così come il libero della vittoria mancato dallo stesso Punter. Resettare il tutto, ancora una volta, non sarà facile. Ma alternative non ce ne sono, e l’Efes di oggi non è squadra che farà regali.

scritto da Daniele Fantini