Road to Vitoria • Day 2

Miranda de Ebro, 17 maggio 2019

C’eravamo lasciati con un confine da attraversare, quello tra Francia e Spagna, segnato dallo scorrere delle acque della Bidassoa. Superato il Puente Internacional (si può fare tranquillamente a piedi) vi ritrovate nella cittadina basca di Irun. Da lì, il viaggio per Vitoria prosegue via auto, tra le colline. La strada non è bellissima, il tempo nemmeno. O, probabilmente, sarebbe tutto molto più attraente se, al posto di una coperta di nuvole stesa quasi a livello del terreno, splendesse il sole.

Vitoria è una città strana. La zona storica, di forma quasi ogivale, ha mantenuto la struttura e l’architettura medievale, ma con un’impronta tipicamente unica. Passeggiando per le strade, tranquille e chiuse al traffico, sembra di ritrovarsi in un mix tra Francia, Inghilterra e qualcosa dei paesi del centro-nord. La zona più “spagnoleggiante” è quella periferica, circondata da un insieme di parchi splendidamente tenuti (consigliato un giro al Parque de San Juan Arriaga).

Plaza de la Virgen Blanca, con la scritta in zolle d’erba “Vitoria Gasteiz!”

Imperdibile un’occhiata alla Plaza de la Virgen Blanca, dove troverete l’iconica scritta – frutto di una composizione di zolle d’erba verde – “Vitoria Gasteiz!” (Gasteiz è il nome dell’originario villaggio ostrogoto vicino a cui venne poi fondata la città di Vitoria nel 1181) e il monumento alla Battaglia di Vitoria, episodio fondamentale nella storia dell’indipendenza spagnola, con la sconfitta dell’esercito francese per mano di una coalizione tra inglesi, spagnoli e portoghesi, comandata dal Duca di Wellington. Poco sopra, troverete l’Estatua De Celedon, altra icona della città, in tenuta tradizionale, con cappello basco e ombrello. Già, perché la pioggia non molla la presa.

La Fernando Buesa Arena, con quella sua forma quasi cornuta, visibilissima anche in lontananza, è vestita a festa. All’interno, lo spettacolo è ancora più grande. Il palazzo, di forma circolare, non è soltanto enorme, ma costruito anche in modo da sembrare ancora più immenso. Giocare in casa – o venirci in trasferta – tende a fare la differenza.

#f4glory: la Fernando Buesa Arena vestita a festa per le Final Four 2019.

Gli spalti sono colorati di giallo. I tifosi del Fenerbahçe, rumorosissimi come sempre, sembrano aver monopolizzato la scena. Cantano, fortissimo, sovrastando quelli dell’Efes che, eccezion fatta per lo spicchietto di ultras alle mie spalle al terzo anello, sono dispersi nella marea gialla. Il campo, però, dice altro, perché l’Anadolu Efes riscrive la storia, demolendo il Fener (primo in regular-season) 92-73 e centrando la sua prima qualificazione alla finale.

Sarebbe fin troppo facile innamorarsi di Shane Larkin, un giocatore offensivo che mi piace definire come “versione migliorata di Mike James”, ma serve probabilmente un occhio un po’ più allenato per impazzire per Vasilije Micic. Giocatore modernissimo, fisico da ala ma ruolo di playmaker, intelligenza e visione di altra categoria. Non c’è momento più adatto per scrivere definitivamente il nome nella lista delle superstar di Eurolega che questo.

La palla a due tra Anadolu Efes e Fenerbahçe: l’Efes centra la prima finale della storia vincendo 92-73.

Ma anche l’altra semifinale (CSKA Mosca-Real Madrid 95-90) regala perle per intenditori. Quelle di Sergio Rodriguez, con quella capacità tutta sua di danzare quasi sulle punte dei piedi, in un mix di finte, controfinte, sterzate ed esitazioni che mandano fuori tempo qualsiasi difensore. Con quel fisico gracile e gli scaldamuscoli fino alle caviglie, sembra un ballerino sul parquet. Con la sola differenza che i ballerini non ti segnano sempre in faccia.

E poi, c’è Will Clyburn. Una struttura fisica perfetta per il gioco della pallacanestro, longilineo e slanciato ma tosto, capace di giocare guardia ma anche ala, favorito da quel paio di braccia lunghissime che lo fanno sembrare molto più alto e lungo di quello che sia in realtà. Clyburn è un giocatore totale, uno dei two-way player per eccellenza nel basket europeo. E uno con attributi enormi. Perché in pochi, dopo quell’inizio così difficile, avrebbero finito la partita come ha fatto lui, con quella schiacciata in testa a Tavares e la tripla impiccata che chiude la rimonta del CSKA.

Vitoria conta quasi 250.000 abitanti, ma le Final Four l’hanno riempita fino all’ultimo posto disponibile. Per trascorrere la notte ci spostiamo ancora, a una quarantina di km di distanza, al confine con i Paesi Baschi: eccoci a Miranda de Ebro, nella Castilla y Leon.

scritto da Daniele Fantini