Steve Nash, l’uomo che ha rotto col passato: dal basket tradizionale alla run’n’gun

I miei idoli erano Isiah Thomas, Michael Jordan e Magic Johnson, perché erano sia competitivi che creativi. Isiah non era alto, ma giocava un basket incredibile: guardandolo, pensavo che anche io avrei potuto giocare in quel modo.

Steve Nash

191 cm (una manciata in più di Isiah Thomas), 81 kg, capello al vento, pelle bianca e corporatura esile, filiforme. Come Steve Nash sia riuscito a entrare nel novero delle leggende NBA con quel fisico è un mistero. Molto meno misterioso, invece, il fatto che con quel cervello quelle mani fosse in grado di far accadere qualsiasi cosa su un campo da basket.

Due volte MVP nel 2005 e 2006 (e una terza sfiorata nel 2007 con il secondo posto alle spalle di Dirk Nowitzki, unica point-guard pluri-premiata assieme a Magic Johnson e Steph Curry), cinque volte leader della classifica degli assist NBA, miglior tiratore di liberi in carriera dell’intera storia NBA (90.43%, ora superato sul filo del rasoio da Steph Curry con il 90.56% ma il duello è apertissimo), Nash è il perfetto esempio di playmaker-superstar capace di svoltare in maniera netta il gioco della propria squadra e massimizzare l’efficacia dei propri compagni. La forza e l’importanza di Nash vanno ben oltre le cifre, per quanto straordinarie: il vero valore aggiunto è il modo stupefacente con cui le squadre cambiano letteralmente pelle con lui in regia.

Steve Nash in azione tra Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker durante i playoff del 2010 tra Phoenix Suns e San Antonio Spurs.
Steve Nash in azione tra Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker durante i playoff del 2010 tra Phoenix Suns e San Antonio Spurs.
  • L’epoca d’oro di Steve Nash con i Phoenix Suns: nel 2005 e 2006 vince il premio di MVP, nel 2007 si piazza secondo alle spalle di Dirk Nowitzki
StagionePuntiAssistRimbalzi% al tiro
2004-0515.511.53.350.2%
2005-0618.810.54.251.2%
2006-0718.611.63.553.2%

Un pioniere del basket moderno: dalla small-ball di Dallas all’apoteosi con la run’n’gun di Mike D’Antoni

Uno dei motivi per cui Nash è così forte è che ai suoi compagni piace giocare con lui. Crea la giusta atmosfera che porta a vincere le partite.

Bill Russell

Dick Davey, suo coach all’Università di Santa Clara, è solito dire di non aver mai visto un difensore peggiore di Nash, un’affermazione, per quanto iperbolica, con un grosso fondo di verità. Ma, d’altra parte, quello che riesce a costruire nella metacampo opposta è talmente grande da poter oscurare anche le evidenti lacune difensive. Scelto con la numero 15 al draft del 1996 dai Phoenix Suns, Nash fiorisce qualche anno più tardi, dopo essere approdato a Dallas. Coach Don Nelson trova in lui un giocatore ideale da affiancare a Michael Finley e al giovane Dirk Nowitzki per costruire un gioco impostato sull’attacco, sul ritmo alto, sul tiro da fuori e sui primi princìpi di small-ball che sarebbero poi diventati un perno del basket moderno.

Steve Nash, Dirk Nowitzki e Michael Finley formano i "Big Three" dei Dallas Mavericks all'inizio degli anni 2000.
Steve Nash, Dirk Nowitzki e Michael Finley formano i “Big Three” dei Dallas Mavericks all’inizio degli anni 2000.

Ma l’esplosione vera e propria divampa nella sua seconda esperienza a Phoenix, come grande cavallo di ritorno a partire dal 2004. Coach Mike D’Antoni gli affida le chiavi di un sistema ancora più estremo di quello giocato a Dallas, quella run’n’gun che avrebbe completamente trasformato il volto della NBA e del basket in generale negli anni a venire, improntando il gioco su corsa, dinamismo, tiro da tre punti e pick’n’roll, con conseguente elevazione dell’importanza del playmaker e trasfigurazione del ruolo dei big-man: D’Antoni sdogana e valorizza i 4-stretch, capaci di aprire il campo per le penetrazioni e giocare in situazioni di pop (vedi Shawn Marion), e i centri mobili, verticali e saltatori, abili nei tagli e nei roll verso canestro (vedi Amar’e Stoudemire).

Ci sono modi diversi per essere un leader. La cosa più importanti è essere trasparenti. Bisogna dimostrare di avere fiducia in se stessi perché anche le persone che ci stanno attorno la abbiano in noi.

Steve Nash

Nash sguazza in un sistema simile, dove può sprigionare al massimo livello le sue qualità tecniche e creative, affiancate a istinti offensivi straordinari. Non è soltanto il leader per eccellenza di un nuovo sistema di gioco che porta i Phoenix Suns a diventare l’attacco più prolifico ed efficace della Lega stregando tifosi e avversari (che, lentamente, si adatteranno alla tendenza provocando l’estinzione dei centri dominanti del passato e l’apoteosi quasi incontrollata del penetra-e-scarica e del tiro da fuori), ma anche e soprattutto una star che permette ai propri compagni di rendere sempre al massimo. A Phoenix sono addirittura sette i giocatori che, grazie a lui, vivono la miglior stagione per punti realizzati in carriera.

Steve Nash al fianco di coach Mike D'Antoni in una fotografia del 2005, anno in cui vince il suo primo titolo di MVP.
Steve Nash al fianco di coach Mike D’Antoni in una fotografia del 2005, anno in cui vince il suo primo titolo di MVP.

La grande macchia di Nash resta quella di non essere riuscito a trasformare i grandi numeri (suoi e di squadra) in un titolo. Come spesso accade con i grandi sistemi innovativi, è necessario un periodo di affinamento perché possano poi risultare realmente efficaci per vincere: la grandi critiche bollano la small-ball di Dallas e la run’n’gun ancora più estrema di Phoenix come stili di gioco ottimi per la regular-season ma non per una serie decisiva di playoff sulle 7 partite. Il verdetto del campo (quattro finali di Conference raggiunte, tre delle quali con Phoenix, ma nessuna apparizione alla Finals) dà una ragione soltanto momentanea ai critici, perché senza Nash e quei sistemi pionieristici non avremmo il basket di oggi.

Il mitico club del 50-40-90

50% dal campo, 40% da tre, 90% ai liberi. Sono numeri che rappresentano l’eccellenza statistica nella metacampo offensiva. Nel 2006, Steve Nash entra in questo ristrettissimo club (all’epoca occupato soltanto da Larry Bird, Mark Price e Reggie Miller) e replica queste cifre per quattro volte in cinque anni, mancando l’en plein solamente per un tiro libero sbagliato di troppo nel 2007 che inchioda la sua percentuale dalla lunetta sull’89.9%. Il poker di Nash è un record all-time per la NBA: soltanto Larry Bird riesce in quest’impresa più di una volta (1987 e 1988). In seguito, il club si sarebbe poi allargato anche a Dirk Nowitzki, Stephen Curry, Malcolm Brogdon ed Elena Della Donne, finora unica giocatrice WNBA presente.

  • Le quattro stagioni in cui Steve Nash è entrato nel club elitario del 50-40-90
Stagione% da due% da tre% tiri liberi
2005-0651.2%43.9%92.1%
2007-0850.4%47.0%90.6%
2008-0950.3%43.9%93.3%
2009-1050.7%42.6%93.8%

Uno sportivo totale: dal calcio e hockey a icona del basket canadese

Nash è una delle personalità più poliedriche della storia della NBA. Nato in Sudafrica, a Johannesburg, da madre gallese papà inglese, cresce in Canada, dove la famiglia si trasferisce quando ha soltanto 18 mesi. Le sue prime vere passioni sportive, dunque, sono molto distanti dalla pallacanestro: Nash inizia a giocare a calcio seguendo le orme del papà (che è calciatore e poi allenatore) e a hockey, lo sport nazionale canadese.

Steve Nash è un grande tifoso del Tottenham: eccolo in compagnia di Christian Eriksen e Victor Wanyama in una fotografia del 2016.
Steve Nash è un grande tifoso del Tottenham: eccolo in compagnia di Christian Eriksen e Victor Wanyama in una fotografia del 2016.

Il basket arriva molto più tardi, attorno ai 12-13 anni, ma basta davvero poco per intuire che la sua strada sarebbe stata quella. E non solo. Perché la sua esplosione, in contemporanea alla crescita dei Toronto Raptors di Vince Carter, contribuisce in maniera decisiva a introdurre il basket nel sistema socio-culturale canadese: se oggi il Canada può schierare una potenziale nazionale di tutto rispetto e un numero sempre maggiore di atleti in NBA (Andrew Wiggins, RJ Barrett, Jamal Murray, Shai Gilgeous-Alexander, Dillon Brooks e altri…) è anche grazie alle magie di Steve Nash che hanno ammaliato tanti ragazzi nello scorso ventennio.

scritto da Daniele Fantini