Teodosic e Belinelli, la strana convivenza che ha deciso gara-1 per la Virtus Bologna

Domenica 23 maggio 2021

Far convivere due grandi campioni può portare a risultati straordinari, ma significa anche dover camminare su un filo di equilibrio molto sottile. Quando, lo scorso dicembre, Marco Belinelli ha scelto di porre fine alla carriera NBA per unirsi alla Virtus, ha trovato una squadra già costruita e già pronta per competere su tutti i fronti, sia nazionale che europeo, anche senza di lui. Una Virtus forte di un gioco, di una filosofia, di un sistema e di gerarchie già stabilite nella stagione precedente, quando soltanto lo scoppio della pandemia era riuscita a fermarla nel suo momento migliore, vissuto da capolista in campionato e pronta per aggredire i playoff di Eurocup. E inserire un enorme talento abituato e destinato a prendersi una grossa fetta dell’attacco in un sistema già rodato e di qualità accertata non è semplice.

L’innesto di Belinelli ha vissuto un processo fatto, com’è normale che sia, anche di esperimenti e tentativi. Da titolare a ultimo uomo della rotazione dalla panchina, ancora titolare, poi sesto uomo. Trovare una collocazione non è semplice per due motivi: 1) la condivisione della leadership e delle responsabilità offensive con Milos Teodosic, abituato a essere il fulcro portante della squadra per una stagione e mezza; 2) gli equilibri difensivi di un gruppo che si è sempre distinto, sin dagli inizi dello scorso anno (anzi, soprattutto nella prima parte dello scorso anno), per un sistema molto aggressivo, fisico ed efficace nella propria metacampo. Una cosa, però, è certa. Il pedigree e l’intelligenza tattica e cestistica di Belinelli sono talmente pregiate che, in qualsiasi posizione o situazione lo si voglia utilizzare, lui sta. E produce.

In gara-1 contro Brindisi è uscito dalla panchina, assieme a Teodosic. Già di per sé una situazione che dà un’enorme vantaggio in profondità e rotazioni rispetto a una Brindisi più corta nella qualità dell’organico. È stata una partita a basso punteggio, figlia di buone organizzazioni difensive (quella di Bologna superiore) ma anche della normale tensione per due squadre non abituate a performare a questi livelli (prima semifinale della storia per Brindisi, ritorno dopo 14 anni di assenza per la Virtus). E in questi casi la differenza, più che il gioco, comprensibilmente stentato, la fanno i campioni. Anche dal nulla. Teodosic (24) e Belinelli (16) hanno realizzato 40 punti in coppia sui 73 di squadra, unici in doppia cifra in maglia bianconera.

In realtà, almeno per quanto visto in questo breve scorcio della serie, non possiamo ancora parlare di convivenza vincente. Perché i due, salvo in rare occasioni, non si sono mai cercati né trovati. Ma hanno saputo costruire, creare e sfruttare le situazioni più adatte alle loro caratteristiche tecniche, ambiti poco complementari e dunque non facili da sposare. Perché se Teodosic vive di pick’n’roll centrale, dove può dominare la partita anche soltanto con le letture del suo cervello superiore (a patto di avere buoni lunghi rollanti e tiratori negli angoli), Belinelli vive di uscite dai blocchi, pin-down, riccioli e di situazioni di emergenza, dove il talento e la capacità di prendersi (e segnare) conclusioni fuori equilibrio (che siano triple o anche floater delicati in area) lo rendono un giocatore immarcabile per la nostra Serie A.

Teodosic e Belinelli si sono quasi alternati, senza invadere il territorio dell’altro. Tre primi quarti sublimi per il Mago serbo, anima dell’attacco grazie soprattutto alla precisione nel tiro pesante (6/11 con inizio da 3/3), un ultimo periodo extra-lusso per il Beli, capace di sparare 10 punti quasi filati nel break decisivo che ha permesso alla Virtus di allungare in maniera definitiva nelle fasi iniziali del quarto. E, anche all’interno di un attacco collettivo poco brillante (47% da due, 33% dall’arco, 14 palle perse e soli 73 punti segnati, 13 in meno rispetto alla media della regular-season), il sangue freddo, l’esperienza e il carisma dei campioni sono stati sufficienti nel momento in cui la difesa, l’arma principale di cui abbiamo parlato poco fa, ha saputo soffocare, a sua volta, il sistema di Brindisi, tenuto a soli 66 punti (19 in meno della media) con un orrido 12% dalla distanza. Una difesa fatta di squadra, ma soprattutto di fisicità e stazza vicino a canestro, dove la Virtus ha chiaro vantaggio nonostante la scelta di Frank Vitucci di sacrificare James Bell nel turnover per avere un doppio centro a disposizione con Perkins-Krubally, e di pressione sul perimetro, dove Alessandro Pajola, ancora una volta, ha fatto la differenza.

scritto da Daniele Fantini