Tracy McGrady, un attaccante divino

Non sono venuto al mondo soltanto per starci. Ma per fare la differenza.

Tracy McGrady

Tracy McGrady, Kobe Bryant, Allen Iverson. All’inizio degli anni 2000, era il triumvirato che si spartiva i cuori dei tifosi. Innamorarsi di Tracy McGrady era facile. Un talento divino per la pallacanestro infuso in un corpo da atleta olimpico (203 cm per 95 kg): slanciato, aggraziato, spettacolare, letale. McGrady aveva una capacità tutta sua di meravigliare, perché, sotto quell’occhio spento e un’espressione assente, la pallacanestro sembrava sgorgargli dalle mani come acqua da una fontana. Due volte capocannoniere della NBA, McGrady era un attaccante con istinti quasi extraterrestri che gli permettevano di essere un giocatore totale: a valanghe di punti, l’ultimo dei problemi (famosissimi i suoi 13 realizzati nei 35″ finali di una partita vinta con una pazzesca rimonta contro San Antonio), univa rimbalzi, assist e, quando inserito nel mood giusto, una capacità difensiva da primo della classe.

  • Tracy McGrady vince la classifica marcatori della NBA nel 2003 e 2004
Top scorers 2002-03Top scorers 2003-04
1. Tracy McGrady 32.11. Tracy McGrady 28.0
2. Kobe Bryant 30.02. Allen Iverson 26.4
3. Allen Iverson 27.63. Kevin Garnett 24.2
4. Shaquille O’Neal 27.54. Peja Stojakovic 24.2
5. Paul Pierce 25.95. Kobe Bryant 24.0

The Big Sleep

Avere un talento divino ostacola l’allenamento. Ed è proprio quello che mi è successo – Tracy McGrady.

T-Mac Big Sleep, il “Grande Sonno”? In un periodo storico in cui i soprannomi si sprecavano a grappoli anche per un singolo giocatore, McGrady ne aveva forse uno dei più azzeccati, anche se dal retrogusto leggermente irriverente. Nella sua stagione da rookie a Toronto, raccontava di dormire anche 13-14 ore al giorno: era un “passatempo” quasi forzato dai problemi di ambientamento per un ragazzo afroamericano abituato al clima della Florida, ma fu presto evidente come, in realtà, soffrisse di una stranissima forma di narcolessia che lo portava ad addormentarsi nelle situazioni e nei luoghi più disparati. Sono famose le sue dormite durante le sessioni-video di allenamento e prima di ogni partita, compresa una serata in cui, svegliatosi pochi istanti prima della palla a due, stupì tutti i compagni di squadra andando in campo e segnando 41 punti.

Tracy McGrady e Vince Carter formavano una delle coppie di giovani star più elettrizzanti della NBA con la maglia dei Toronto Raptors.
Tracy McGrady e Vince Carter formavano una delle coppie di giovani star più elettrizzanti della NBA con la maglia dei Toronto Raptors.

Il suo volto e atteggiamento spesso iper-rilassato, la palpebra calante e il sorriso facile furono caratteristiche che aumentarono la sua popolarità tra i tifosi, affascinati dal netto contrasto tra il suo linguaggio del corpo e le giocate stratosferiche in campo, ma, in realtà, si trasformarono in un’arma a doppio taglio: per quanto estremamente docile, McGrady non fu mai un grande lavoratore in allenamento e non riuscì mai a sviluppare le doti carismatiche necessarie per essere un vero leader, pronto a trascinare le proprie squadre a traguardi importanti. E, nel corso degli anni, il peso delle critiche fece da pesante contraltare sulla bilancia.

Un predestinato maledetto

Essere al secondo turno dei playoff è una sensazione meravigliosa.

Tracy McGrady dopo la vittoria in gara-4 sui Detroit Pistons nei playoff del 2003.

Una frase passata alla storia. In negativo. Perché, nonostante un vantaggio di 3-1 in quella serie, McGrady e i suoi Orlando Magic vennero rimontati ed eliminati da Detroit in gara-7. Eccezion fatta per il suo ultimo cameo nel 2013 con i San Antonio Spurs, McGrady non riuscì mai a superare il primo turno dei playoff negli anni migliori della carriera: una eliminazione con Toronto, tre con Orlando, tre con Houston, una anche con Atlanta, dove era sbarcato come veterano d’esperienza ormai in fase nettamente calante. Una maledizione tremenda che ne ha minato la carriera, trasformandolo lentamente nella figura del “grande perdente” nonostante i due titoli di capocannoniere.

Tracy McGrady vola a schiacciare a canestro durante una partita del 2005 giocata dai suoi Houston Rockets contro i Dallas Mavericks.
Tracy McGrady vola a schiacciare a canestro durante una partita del 2005 giocata dai suoi Houston Rockets contro i Dallas Mavericks.

Le motivazioni sono tante e concatenate fra loro. Oltre al carattere che non l’ha mai reso un vero leader naturale, McGrady ha pagato il fatto di non avere mai squadre realmente attrezzate per una lunga corsa nella post-season e una serie di acciacchi e infortuni che non gli hanno permesso di esprimersi al meglio nei momenti decisivi. A Toronto era ancora troppo acerbo, a Orlando non ebbe mai la concreta possibilità di far divampare il potenziale dell’accoppiata con Grant Hill a causa del grave infortunio alla caviglia sofferto da quest’ultimo, e a Houston la carrozzeria esterna cominciò a cedere, dimostrandosi non all’altezza del potentissimo motore interno: tra schiena a pezzi operazioni a spalla e ginocchio sinistro, McGrady non riuscì mai a testare realmente la sua vera forza al fianco di Yao Ming.

Nel 2013, dopo una breve esperienza in Cina che sembrava aver fatto calare il sipario sulla sua carriera, McGrady rientrò a sorpresa in NBA, ingaggiato dai San Antonio Spurs nel ruolo di veterano allunga-rotazioni per i playoff. Giocò 6 partite per 31 minuti complessivi senza punti segnati, ma visse l’ebbrezza di raggiungere le Finals per la prima volta in carriera: il sogno di un anello, però, svanì in maniera atroce, con la rimonta sofferta dagli Spurs e la sconfitta in 7 gare per mano dei Miami Heat di LeBron James.

Tracy McGrady o Kobe Bryant: chi era il più forte?

McGrady faceva le mie stesse cose, aveva i miei stessi movimenti, ma era più alto di me. È stato uno dei giocatori più difficili da marcare.

Kobe Bryant

Amavo giocare contro Kobe Bryant, perché ero sicuro che avremmo sempre tirato fuori il meglio, l’uno dall’altro.

Tracy McGrady

A Toronto, McGrady formò con Vince Carter (di cui aveva anche scoperto di essere un lontano parente) una delle coppie di giovani star più promettenti ed elettrizzanti della Lega, ma il timore di dover vivere all’ombra del “cuginetto” e il forte richiamo della Florida, il suo Stato natale, lo indussero a lasciare il Canada accettando l’offerta degli Orlando Magic nell’estate del 2000.

Tracy McGrady marcato da Kobe Bryant durante una partita tra Orlando Magic e Los Angeles Lakers del 2004.
Tracy McGrady marcato da Kobe Bryant durante una partita tra Orlando Magic e Los Angeles Lakers del 2004.

Lì, complici i problemi fisici di Grant Hill, scrisse le pagine più belle della carriera, trasformandosi molto presto in uno dei giocatori-franchigia più riconosciuti della NBA. McGrady ammassò numeri da capogiro, facendo seguire al premio di Giocatore più Migliorato del 2001 i due titoli di capocannoniere NBA vinti nel 2003 e 2004. McGrady divenne un giocatore totale ma, prima di tutto, un attaccante sublime, capace di segnare canestri a grappoli. Nonostante giocassero in due Conference differenti e fossero grandi amici fuori dal campo, si accese una fortissima rivalità con Kobe Bryant, anche e soprattutto mediatica, che divideva i tifosi: Kobe e McGrady avevano uno stile di gioco molto simile, ugualmente letali nel tiro e in penetrazione, ma chi era, fra i due, l’attaccante più forte della NBA in quel periodo? Una domanda che non ha mai avuto una risposta. Nemmeno ora.

scritto da Daniele Fantini