Virtus Segafredo Bologna-AX Armani Exchange Milano 68-73

Domenica 27 dicembre 2020

Ho sempre invidiato la ACB spagnola perché, con quattro squadre in Eurolega, si può permettere un big-match ogni due settimane. Finalmente, dopo tanti anni di vacche magre, anche la nostra Serie A può fregiarsi di un appuntamento-clou dello stesso livello. Perché Virtus-Olimpia è stata proprio questo: una bellissima partita, intensa, dura, fisica, giocata a livello Eurolega. Una partita che ha richiesto a Milano la stessa concentrazione profusa nelle partite di Coppa e che ha portato la Virtus ad alzare quell’asticella finora molto altalenante in campionato, per dimostrare di potersi meritare il grande palcoscenico cui sta puntando dalla scorsa stagione, con l’inizio del nuovo ciclo targato Djordjevic e Teodosic.

Di fronte allo spettacolo di una partita vera, di quelle che non ti fanno percepire, per una volta tanto, la differenza tra il match del giovedì e quello della domenica, il debutto di Marco Belinelli è passato quasi in secondo piano. A esser sincero, non mi aspettavo un partitone, considerando i cinque mesi di stop e la necessità di riadattarsi in maniera rapida a un tipo di pallacanestro e a un ruolo (quello di seconda punta offensiva al fianco di Milos Teodosic) molto diversi dalle situazioni vissute da gregario/specialista tiratore in 13 anni di NBA. E così è stato. Il Beli ha costeggiato la partita come un albatros che volteggia sul mare, segnando una tripla delle sue, lucrando un paio di giri in lunetta, ma ammassando anche e soprattutto palle perse e forzature. Il suo plus-minus, -13 in 18 minuti, è stato il peggiore dell’intera Virtus. Ma sono numeri che, al momento, lasciano il tempo che trovano. Preoccuparsene sarebbe insensato.

Virtus Segafredo Bologna e AX Armani Exchange Milano schierate al momento dell’inno nazionale (Eurosport Player).

Con il Beli al fianco di Milos, Bologna è destinata a migliorare, anche e soprattutto in Eurocup, ma la sensazione è che manchi ancora qualcosa per poter realmente pareggiare il livello dell’Olimpia e trasformarsi in un avversario temibile e credibile per la lotta-scudetto. L’organizzazione difensiva è eccellente, tratto distintivo che ha caratterizzato l’intera era Djordjevic (considerando anche l’assenza di Pajola…), ma l’attacco, quando Teodosic viene ingabbiato, continua a faticare.

I closer, anzi, IL closer per eccellenza non è mancato invece a Milano. Non ho idea di come siano rimasti i rapporti tra la Virtus e Kevin Punter (a occhio, non particolarmente brillanti), ma il ragazzo ha giocato con una fame atavica negli occhi. Certo, ha tirato tanto, e non particolarmente bene, ma quando ha dovuto prendersi le conclusioni importanti, decisive, non ha sbagliato un colpo. E non mi riferisco soltanto alla tripla ammazza-partita nel finale, ma anche e soprattutto a quelle due sparate consecutivamente da fermo, da otto metri, alla fine del terzo periodo, per riaccendere un attacco appassito da lunghi minuti di ipossia totale.

Su Shavon Shields si potrebbe ormai scrivere un trattato enciclopedico per l’inno al giocatore all-around. Non so se stupirmi ancora per quanto faccia di buono in attacco in maniera iper-silenziosa, con quella sua leggiadria di movimenti che lo rende tra i giocatori più smooth del nostro campionato, o per quanto faccia di ancor più buono nella metacampo difensiva, fungendo da agente speciale contro le stelle avversarie in ogni singola partita. Il lavoro faccia-a-faccia su Belinelli nel quarto periodo è stato un clinic di fondamentali difensivi in situazioni off-the-ball da mostrare e rimostrare in tutte le scuole di minibasket.

Sto finendo ormai anche le parole per Zach LeDay e Kyle Hines, la strana coppia che sta mettendo in riga tanti front-court in Europa e che, nelle ultime due settimane, ha regolato anche i due reparti-lunghi più temibili in Italia (Sassari e Virtus). L’amalgama tra i due ha raggiunto livelli impensabili a inizio stagione. Chi ha seguito LeDay l’anno scorso allo Zalgiris sapeva di ritrovarsi tra le mani un buon giocatore, ma forse non così buono. Erano anni che a Milano non si vedeva un 4 con quelle qualità, buco storico in tutti i roster recenti. In queste situazioni mi soffermo sempre a pensare chi sia il reale artefice dei progressi di questi ragazzi. Messina sicuramente, ma, prima di lui, Dusko Ivanovic per Shields e Sarunas Jasikevicius per LeDay. Mica due nomi a caso. Per Hines, va beh, un quattro-volte campione d’Europa non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.

scritto da Daniele Fantini