L’Olimpia Milano frena: dentro la crisi che ha colpito i suoi uomini-chiave

Quando i playoff erano a un passo, Milano ne ha fatti due indietro. Due sconfitte in fila, contro Barcellona e Baskonia, che non hanno soltanto bloccato i potenziali festeggiamenti anticipati, ma che hanno fatto emergere, quasi in fotocopia, il momento di flessione sofferto nella parte conclusiva di una regular-season giocata ad altissimo livello, il massimo mai visto nell’Eurolega moderna. È un fattore fisiologico, perché ogni squadra, con rarissime eccezioni, vive momenti di alti e bassi nel corso di una stagione, ma che rischia di rivelarsi problematico, perché questo è il momento più delicato, decisivo, quello in cui si tirano le somme per l’obiettivo grosso.

Non è un calo esploso in maniera improvvisa e inaspettata negli ultimi giorni. Piuttosto, è una parabola che ha iniziato la propria curva discendente nella seconda metà di febbraio, dopo la conquista della Coppa Italia e quello straordinario periodo di semi-imbattibilità che aveva lanciato l’Olimpia nelle zone altissime della classifica anche in Eurolega (il record dell’ultimo mese abbondante in Europa recita 4-4). Milano ha vissuto diversi periodi complessi per infortuni e assenze riuscendo sempre a resistere e a uscirne con la forza del gruppo. Ma ora il problema, com’è anche naturale che sia, è che la crisi maggiore sta stritolando chi, nel corso della stagione, ha tirato la carretta più a lungo. Appassita nei suoi uomini-chiave, Milano ha retto contro Barcellona e Baskonia finché la difesa si è mantenuta su standard elevati, ma, sul lungo periodo, è stato impossibile tamponare le lacune offensive e di leadership, con crolli sofferti in terzi periodi molto negativi.

La consunzione derivante da un torneo difficile e lunghissimo (cui si aggiungono, non dimentichiamo, anche fatiche e trasferte di campionato, dove il match contro Milano rappresenta la partita più entusiasmante dell’anno per la stragrande maggioranza delle squadre anche non di alta classifica) unita a un’infermeria mai vuota, stanno impattando, in negativo, su un sistema costruito, prima di tutto, sulle qualità fisiche, mentali e agonistiche del gruppo squadra. Se i livelli di aggressività e concentrazione calano anche soltanto di qualche punto percentuale, l’Olimpia è destinata a snaturarsi. Quella motion-offense di qualità eccelsa, la stessa che a gennaio aveva reso Milano la squadra più bella e temibile d’Europa, oggi è sfumata, cedendo il passo a un’Armani statica, con idee scarse e più legata agli individualismi. E per quanto l’impegno difensivo possa restare accettabile, è impensabile mantenerlo per 40 minuti quando l’attacco non produce, anzi, tende quasi a frustrare in ogni singola azione.

Nei momenti di difficoltà sono i grandi leader, i veterani, a caricarsi la squadra sulle spalle. Ma, come detto, in questo momento sono proprio i top-player ad aver perso la brillantezza maggiore. L’assenza di Malcolm Delaney, out almeno fino al termine della regular-season dopo l’operazione al ginocchio, ha sbilanciato il sistema togliendo un pilastro importantissimo. Lo ha fatto in maniera probabilmente superiore alle aspettative, perché, per la maggior parte della stagione, ha agito nella semi-oscurità, lontano dai riflettori ma con enorme concretezza su entrambi i lati. Senza Delaney, manca non solo un ottimo difensore sul pallone, ma anche un creatore di gioco che possa permettere a Sergio Rodriguez di tornare a esprimersi nella sua modalità più efficace, con quelle fiammate pungenti in uscita dalla panchina senza pressione sulle spalle. In questa sua nuova versione, la stessa della scorsa stagione, il Chacho non è più quel giocatore determinante degli scorsi mesi.

L’infortunio di Zach LeDay, ancora lontano da quel tesoro che ha fatto innamorare i tifosi biancorossi in questa stagione, unito all’implosione dello sfortunatissimo Vlado Micov e alla netta involuzione di Kaleb Tarczewski hanno fatto il resto, scompaginando carte, equilibri, quintetti e costringendo i soliti noti a una serie di extra-sforzi che ora chiedono il conto. Gli appannamenti di Shavon Shields, Kevin Punter e Kyle Hines, stranamente poco efficace anche in difesa nelle ultime due sconfitte, non sono certo casuali se letti nella big-picture di una stagione intera.

Ora i destini, anche in termini di piazzamento finale, passano attraverso l’ennesimo sfiancante doppio turno on the road: prima Belgrado, poi Atene. Due trasferte stranissime, decisive, contro avversarie che non hanno più nulla da dare in questa stagione ma capaci di battere Milano nelle gare d’andata, al Forum. Ritrovarsi in una settimana, anzi, in una manciata di giorni, per di più trascorsi lontano da casa, non sarà facile. Ma, come spesso succede, potrebbe bastare anche un singolo squillo per cambiare nuovamente il volto alla stagione.

scritto da Daniele Fantini