AX Armani Exchange Milano-FC Barcellona 56-72

Mediolanum Forum di Assago (MI) • Venerdì 19 marzo

Quest’anno abbiamo sempre parlato della difesa di Milano, quasi come pura esaltazione dell’essere. Ecco, il Barcellona porta quella stessa difesa a un altro livello, sublimandolo verso l’assoluto. Se siete amanti dei sistemi difensivi, i primi due quarti e mezzo (fin tanto che c’è stata partita…) sono stati di una meraviglia eccezionale. Due fortini che si sono sfidati all’ultimo sangue, tra palizzate, muraglie, arrocchi e punte di lancia. Alla fine l’ha spuntata, con merito, il Barcellona. Con ormai annesso primato in classifica quasi matematico. Giusto così, perché quest’anno, e soprattutto in questo momento della stagione, con i roster al completo, non c’è una squadra più più compatta, quadrata, profonda e completa su entrambe le metacampo come quella di coach Sarunas Jasikevicius.

Una rimessa da fondo di Sergio Rodriguez nel match tra AX Armani Exchange Milano e FC Barcellona.

Per Saras ho sempre avuto una stima eccezionale. Sia come giocatore, per quella capacità di affiancare una dose energetica e carismatica strabordante a un talento e un’intelligenza cestistica cristallini, sia come allenatore, per essere stato in grado di replicare se stesso sul campo di gioco. Le sue squadre, a partire dalle primissime edizioni dello Zalgiris Kaunas che ha gestito da capo-allenatore, sono sempre state il suo specchio perfetto. Cattive, agonistiche, rabbiose. Il carattere è la dote fondamentale, prim’ancora che tecnica e tattica. Se non hai qualcosa che brucia dentro, se non hai la mente dura come la roccia, per Jasikevicius non puoi giocare. Lui li sceglie, ma, soprattutto, lui li forma. E, ormai, di esempi ne abbiamo a dozzine, a cominciare da questa stessa stagione di Zach LeDay in maglia Olimpia, reduce da un’annata di enorme crescita a Kaunas. Jasikevicius è un allenatore capace di motivarti e di migliorarti portandoti a vette impensabili. Avrà anche modi bruschi, rabbiosi, sclerotici, sgarbati. Ma sono convinto che qualsiasi grande professionista darebbe comunque l’anima per poter essere allenato, gestito, cresciuto e costruito da un coach come lui.

Studiare da distanza ravvicinata il sistema difensivo del Barcellona è stato come vedere una versione migliorata di Milano. Sapevo che si potesse fare, ma non credevo fino a questo livello. In area non si entra. Il Barcellona è un muro, con qualsiasi giocatore. Le rotazioni, gli aiuti, i movimenti, hanno una sincronia straordinaria, impensabile. E sul perimetro non si passa. Zero. Battere l’uomo dal palleggio è una fatica immane. Costruirsi un tiro idem. Per poi ritrovarsi strangolato in una selva di braccia e mani che ti attendono lì, al limite dell’area. È come prendere una parete a testate. Non ne ho visto uno, un solo giocatore, che abbia mai mollato un centimetro, un pallone, un passaggio, un movimento, uno scivolamento, un aiuto o una rotazione. Non esiste un anello debole della catena. Nemmeno Nikola Mirotic.

L’unico rimpianto è non essere riuscito a dare anche una sola, fugace occhiata a Pau Gasol, per la prima volta nella mia vita. Non mi aspettavo di vederlo già in campo, ma soltanto uno sguardo da lontano, in tuta o in borghese. Sapevo che aveva cominciato ad allenarsi 5v5 con la squadra, e speravo in una sua presenza almeno a bordocampo. Peccato. Ho avuto comunque tanto materiale per rifarmi gli occhi, perché, finora avremo anche parlato di grandissime difese, ma il talento e la qualità che il Barcellona può schierare sono meravigliosi.

Nikola Mirotic è stato silente, ma letale: 15 punti, top-scorer, quasi nel sonno, costeggiando la partita, con spaziature straordinarie per intelligenza tattica, che mi hanno ricordato tanto quelle di Kevin Love, un giocatore che ho sempre ammirato per la capacità unica di farsi trovare, in ogni azione, nel punto perfetto del campo. Menti cestistiche sopraffine. Così come quella di Nick Calathes. 0 punti sì, ma 11 assist, con alcuni passaggi che ha veramente visto soltanto lui in tutto il Forum. Nemmeno Rodriguez ha quelle sue visioni. Sì, mi hanno strappato applausi in diverse occasioni, entrambi. Sia Mirotic che Calathes. Perché, giustamente, il bello va sempre riconosciuto e premiato, a prescindere dal colore della canotta.

Scritto da Daniele Fantini