AX Armani Exchange Milano-Fenerbahçe Beko Istanbul 92-100

Mercoledì 3 marzo • Mediolanum Forum di Assago (MI)

Quest’anno, fino ad oggi, Milano non aveva mai subito 100 punti in Eurolega. E, sinceramente, mai pensavo potesse succedere. Per di più in casa. Eppure, senza Malcolm Delaney e Zach LeDay, questa squadra ha perso quel sottile equilibrio costruito in questi mesi di campionato, sbandando così tanto che, per gran parte della partita, mi è sembrato quasi di vedere la stessa Milano di Pianigiani. Vero, la sparo grossa, eppure, dal vivo, la sensazione è stata esattamente la stessa, indimenticabile, di quelle tante partite giocate fino all’ultimo ad alto punteggio, ma poi quasi sempre tragicamente perse per manifesta inferiorità.

Piccola, leggera, con Vlado Micov da finto 4 tattico per aprire il campo e bombardare con le triple, capace di segnare un gran canestro a ogni azione ma, dall’altra parte del campo, subirne altrettanti con facilità ancor più grande. Chiaro, scendere in campo contro il Fener con Micov su Jan Vesely e Michael Roll da finto playmaker difficilmente può portare molta acqua al tuo mulino. Può funzionare per qualche momento, anche un tempo intero (come testimoniato dal fortunoso 52-50 dell’intervallo), ma chiari segni di scricchiolio c’erano ormai da tempo. Subire 50 punti in un tempo con 20/27 da due (e non so quante schiacciate) non è accettabile a questo livello, anche se dall’altra parte fai 10/15 da tre. Alla lunga non paga, e, alla fine, è stato esattamente così. Non è stata una delle migliori partite di Ettore Messina, come letture, gestione dei quintetti, della panchina e ostinazione nell’inseguire un piano con tante incertezze e trappole, ma credo lo sappia benissimo anche da sé.

Emotion-devotion moment prima di AX Armani Exchange Milano-Fenerbahçe Beko Istanbul.

La sfortuna è stata l’aver trovato il Fenerbahçe più forte della stagione, nulla a che vedere con quello moribondo battuto a suo tempo a Istanbul. Da quando è arrivato Marko Guduric e Nando De Colo ha ripreso a marciare a pieno ritmo post-infortunio, questa squadra ha ritrovato la stessa compattezza dei bei vecchi tempi di Zeljko Obradovic, quando era una delle corazzate più imbattibili d’Europa. D’altronde, 11 vittorie nelle ultime 12 gare non nascono mica per caso.

In questo momento il Fener ha uno dei triangoli playmaker-ala-centro più forti, completi e dominanti d’Europa. De Colo-Guduric-Vesely sono un lusso che pochissime squadre possono permettersi di pareggiare. E non dico, volutamente, superare. Oggi Nando ha giocato con la faccia giusta, quella delle grandissime occasioni, quella che, tanti anni fa, mi aveva spinto ad appassionarmi quando, giovanissimo, lo commentavo su Eurosport 2 mentre emergeva in Eurocup con la sua Valencia. Personalità enorme, controllo della partita e del ritmo, capacità di finire nel traffico con i contatti. Tutto veramente notevole.

Vesely ha fatto quello che ha voluto. Dalla palla a due al fischio finale. Non ha trovato avversari né con il quintetto pesante e l’assetto con il doppio lungo che l’ha accompagnato spesso a Duverioglu e/o O’Quinn, né nella sua classica posizione da centro. Punti, rimbalzi, assist (8), perché una volta ricevuta palla lì, in mezzo all’area, ha un’altezza e una visione di gioco tale da poter passare sopra la testa di qualsiasi difensore. Mi sono chiesto perché, di fronte alla strapotenza fisica del Fener, a quel pick’n’roll incontrollabile che nel primo tempo ha aperto l’area come un cratere fumante, Milano abbia insistito con il quintetto leggero e Micov-Datome da 4, pur avendo Jeremy Evans in panchina, un giocatore inserito per le sue qualità atletiche, ma rimasto inutilizzato per 40 minuti. Non sono riuscito a darmi una risposta. Probabilmente è ancora troppo estraneo al sistema, certo è che di fronte alle difficoltà di tenuta in area che hanno visto anche lo stesso Kyle Hines soccombere sotto la potenza fisica del Fener, è una nota parecchio stonata.

Anche Marko Guduric ha fatto il suo. Lento, ma costante, pronto ad azzannare la partita nei momenti decisivi. L’ho seguito con grande attenzione nel suo percorso di crescita con Zeljko Obradovic e sono stato contento di rivederlo in campo in Eurolega, finalmente lontano da quella parentesi sconclusionata in NBA. Per un giocatore con quelle caratteristiche, questo è il suo posto naturale, è qui dove può esprimere il meglio dei suoi istinti offensivi. Certo, quell’anno in America gli ha lasciato addosso qualche kg di muscolo in più, perché non me lo ricordavo così definito ai tempi.

Lorenzo Brown lo conosciamo. Su questo stesso campo aveva già fatto benissimo l’anno scorso, con la Stella Rossa, e questa sera è stato il mattatore totale del terzo periodo, lì dove ha esposto le lacune difensive di Sergio Rodriguez. Senza Delaney, gli equilibri in quel ruolo sono difficili da recuperare e mantenere. Mi ha leggermente deluso, invece, Kyle O’Quinn, giocatore di culto eccezionale per gli amanti della NBA e anche per me in particolare, avendolo vissuto di prima persona nella “mia” Philadelphia. Dal vivo l’ho trovato in una forma fisica migliore di quanto mi aspettassi, meno somigliante a quel parallelepipedo scorto nelle sue primissime uscite in maglia Fenerbahçe. Il meglio, però, credo debba ancora darlo. Perché se è questo, allora non siamo messi bene…

scritto da Daniele Fantini