AX Armani Exchange Milano-Panathinaikos Opap Atene 77-80

Mediolanum Forum di Assago (MI), 3 dicembre 2020

Nel vuoto gelido del Forum riecheggia spesso un grido. “Iverson!… Iverson!…”. È l’avvertimento che la panchina di Milano lancia al difensore di Nemanja Nedovic in tutte quelle situazioni speciali in cui il serbo può cercare di sorprendere la marcatura con un “Iverson cut”. Il “taglio Iverson”, che eredita il nome dall’ex-stella dei Philadelphia 76ers, vero artista di questo giocata, prevede lo smarcamento di un esterno attraverso un taglio (appunto) da un lato all’altro del campo effettuato sopra l’area, sfruttando il doppio blocco dei due lunghi posizionati al vertice dell’area stessa come in una classica partenza di un gioco “horns” (corna). È stato un clinic molto interessante di smarcamento e movimento senza palla di cui Nedovic, rivisto con altri occhi per via di quella canotta biancoverde sulle spalle, bisogna ammettere, è un califfo a livello europeo. Non per l'”Iverson cut” in sé, in realtà ben contenuto da una difesa Olimpia molto preparata sull’argomento, ma per tutte quelle situazioni di pin-down che lo coinvolgono in una sorta di moto perpetuo e instancabile per ricevere il pallone in una zona del campo a lui favorevole e creare gioco dal palleggio. Se avrete la possibilità di rivederlo in una delle prossime partite, seguitelo attentamente per farvi un’idea del chilometraggio percorso senza palla all’interno di un attacco che lavora tantissimo per permettergli di ricevere in movimento.

Dopo aver osservato il Panathinaikos più volte in questo inizio di stagione, mi aspettavo, onestamente, una vittoria tranquilla, come quella che si stava profilando con quel comodo +15 (40-25) raggiunto nel secondo periodo, frutto di tanta difesa, delle pennellate di un Malcolm Delaney più responsabilizzato per l’assenza di Rodriguez e dei movimenti vicino al ferro di Zach LeDay. Non è stato così, perché il Pana, nonostante un gioco offensivo obiettivamente scadente, ha saputo rivoltare la partita buttandola su quegli argomenti che sono sempre stati un mantra delle squadre greche: fisicità, durezza, intensità, stazza e difesa. I big-man saranno anche una razza in via d’estinzione nel basket NBA e nella nostra Serie A, ma, per vincere in Europa, peso e centimetri non possono mancare. Il che può rivelarsi un grosso problema contro una front-line che schiera Kyle Hines da 5 e Gigi Datome/Vlado Micov da 4 tattici.

Olimpia Milano e Panathinaikos Atene schierate a centrocampo prima della partita.

Quest’anno il Panathinaikos è una squadra molto curiosa, costruita riciclando gli esuberi dell’Olimpia della passata stagione (Nemanja Nedovic, Aaron White e Shelvin Mack, che a sua volta ha preso il posto di Keifer Sykes, schierato nelle prime partite). E questo comporta due considerazioni. La prima, molto semplice, è che, se sono stati esuberi, un motivo ci sarà, e questo spiega il record di 3-7 con cui i greci si sono presentati al Forum. La seconda, ancora più lapalissiana, è il rischio molto alto che quei tre elementi sospetti avrebbero giocato, una volta tornati a Milano, la partita della vita. E così è stato.

Se, in un certo senso, mi aspettavo una seratona di Nedovic, considerando che lo scarso talento diffuso del Pana di oggi costringe coach Vovoras a basare il gioco offensivo quasi interamente su di lui, mi hanno sorpreso in positivo invece gli altri due. Ho visto un Aaron White presente, deciso, determinato e atletico (doppia-doppia sfiorata da 9 punti e 10 rimbalzi), ma soprattutto uno Shelvin Mack in grado di cancellare un primo tempo orrido con una ripresa in cui ha mostrato quei lampi che avevano convinto lo stesso Messina a sceglierlo tra i suoi pretoriani nella scorsa stagione. La sua difesa sulla palla, con quel fisico tarchiato e robusto (non ha perso peso da quando ha lasciato Milano, anzi…), è qualcosa di asfissiante per qualsiasi costruttore di gioco, soprattutto in una serata in cui all’Olimpia manca la creatività del Chacho.

La palla a due tra Kaleb Tarczewski e Georgios Papagiannis apre la partita tra AX Armani Exchange Milano e Panathinaikos Opap Atene.

Bravi i nostri ex, ma il grosso della differenza l’hanno fatta i greci, come si confà a una squadra che ha sempre fatto dell’anima locale un punto di forza. Ioannis Papapetrou è un giocatore che merita grande attenzione in quella che, al momento, è la sua miglior stagione della carriera, a conferma di una crescita continua in tanti aspetti del gioco. Papapetrou è uno di quei classici giocatori stuzzicanti per le mie corde, una di quelle ali con fisico che non si distinguono per un particolare punto di forza, ma per la capacità (o versatilità, se volete) di fare tante cose in maniera discreta, così da avere un arsenale molto ampio a disposizione. L’aspetto migliore (perché comunque uno ci deve essere…) credo siano i suoi post-up: in pochi hanno la sua stessa capacità di leggere un mismatch favorevole e azzannarlo con rabbia ricevendo una palla interna.

L’impressione dal vivo (che, non mi stancherò mai di ripetere, non è minimamente paragonabile alla percezione che si può avere dalla televisione) mi ha fatto cambiare idea anche sul conto di Georgios Papagiannis, che ho sempre mal considerato, sbagliando. Malgrado i suoi 220 centimetri di altezza, il ragazzo non è lento, né impacciato nei movimenti, anzi, ha un fisico molto più esile e slanciato di quello che appare sullo schermo, con una parte superiore molto asciutta e muscolosa. Anche i piedi sono nettamente più rapidi di quello che ci si possa aspettare, e la sua comprensione del gioco mi sembra migliorata rispetto alla scorsa stagione. Sui pick’n’roll è un’arma impropria: quando riesce a trovare una direttrice verso canestro, basta alzare un pallone nella sua direzione e attendere soltanto il rumore di una schiacciata. Come quella che, a pochi secondi dalla sirena, ha inflitto il colpo di grazia all’Olimpia.

scritto da Daniele Fantini