Il grande ritorno a Mosca di Kyle Hines, l’uomo-tutto per Milano

Se Kyle Hines riuscisse ad ampliare di un paio di metri il suo raggio di tiro diventando, non diciamo affidabile, ma almeno decente con i piedi oltre l’arco, sarebbe il giocatore più completo dell’intero continente europeo. Un centro undersized capace all’occorrenza di vestire i panni del playmaker e, per di più, anche tiratore. Sarebbe quasi, passandoci il paragone, un Magic Johnson in miniatura delle nostre latitudini. Quel tiro da tre punti, per ora, non c’è (ma invecchiando, si sa, si migliora in questo fondamentale, e chissà…), ma le altre trecentomila cose che fa sul parquet rendono Hines un giocatore perno e insostituibile per qualsiasi squadra in cui abbia mai giocato. Da Veroli a Bamberg, passando poi per Olympiacos e CSKA, fino al giorno d’oggi, a Milano. Dove, se ci fosse ancora qualche sparuto scettico, sta dimostrando il motivo per cui un centro di 198 centimetri è stato capace di sollevare l’Eurolega per quattro volte in carriera.

Kyle Hines, perno di una difesa costruita attorno a lui

L’MVP della vittoria sul CSKA è stato Kevin Punter, certamente. 32 punti e raffiche di canestri decisivi. Ma se grattiamo sotto la superficie, e andiamo oltre il semplice fatturato statistico, non possiamo far altro che sbattere contro il muro di Kyle Hines. Perché è esattamente quello che ha eretto attorno alla propria area, memore, soprattutto, di quanto successo nella gara d’andata, quando il CSKA violò il Forum con numeri fantascientifici a rimbalzo (60-33, con 30 offensivi capaci di generare un numero di extra-possessi pazzesco per una partita decisa da soli 4 punti in overtime). A Mosca, Milano ha retto sotto canestro (39-36), ma, cifre a rimbalzo a parte, ha concesso poco attorno al ferro (46.3%), ritrovando quella piena funzionalità di un sistema difensivo che si basa proprio sull’atipicità dei lunghi e sulla loro capacità di contenere le penetrazioni, restare accoppiati con gli esterni e ruotare con rapidità sul lato debole.

Hines è stato il perno dell’intero ingranaggio, reggendo il sistema per quasi 32 minuti (non a caso, la partita in cui è stato più utilizzato dopo l’esordio a Monaco, terminato però in overtime) in cui Milano ha spento il miglior attacco dell’Eurolega (il CSKA è primo per punti segnati con poco meno di 83 di media a partita), rendendolo per lunghi tratti una stranissima macchina disgiunta e disfunzionale, scollegata nei suoi interpreti e priva di qualsiasi chimica di base (sulla partita e l’atteggiamento di Mike James ci sarebbe da scrivere non un altro capitolo, ma un intero romanzo). Certo, poi conta anche e soprattutto il contorno, perché il solo Hines, per quanto marmoreo, non può bastare.

Il ritorno di Zach LeDay è stato ossigeno puro. Hines ha ritrovato il suo gemellino, un ragazzo, prima che un giocatore, che condivide i suoi stessi principi di spirito di sacrificio, foga agonistica, coraggio e tenacia, e che, sul piano tattico, può ricalcarne le orme per caratteristiche fisiche. Ma è stata molto interessante anche la scelta di coach Messina di mantenere, comunque, un assetto versatile per l’intera partita, restando fedele al proprio piano anche quando il CSKA sembrava poter prendere vantaggio e capitalizzare sulla forza, sul peso e i centimetri del proprio front-court, proprio come successo nella gara d’andata anche senza Nikola Milutinov. Quindi, niente Kaleb Tarczewski ma ancora spazio a Gigi Datome per qualche sprazzo di 4 tattico e, soprattutto, alla coppia composta da Jeremy Evans Jeff Brooks, silente sì in attacco ma, in questo momento, jolly difensivo importantissimo per la sua capacità di accettare e reggere i cambi difensivi. Insomma, una difesa costruita e centrata sulle stesse caratteristiche del suo generale, pronto a guidarla dal suo posto di comando, lì nel cuore dell’area.

Point-center: il centro-playmaker, ruolo del futuro

Ma l’impatto di Hines è stato determinante anche nella metacampo opposta, in maniera molto, molto maggiore rispetto ai soli 7 punti segnati con 6 tiri presi (due dei quali stoppati). In questo momento di emergenza in regia, con Malcolm Delaney ai box, l’Hines point-center (posizione del futuro se ce n’è una in un basket con ruoli sempre più sfumati) torna sempre più d’attualità. Con lui a gestire il pallone, Milano può evitare la pressione difensiva allungata (nessun centro inseguirebbe Hines in palleggio nella metacampo opposta), aprire il campo stanando i lunghi avversari dal cuore dell’area, entrare rapidamente in una situazione di pericolosità offensiva con un semplice hand-off laterale con un esterno o, perché no, sfruttare direttamente il vantaggio di rapidità rispetto al marcatore diretto con lo stesso Hines, capacissimo di attaccare dal palleggio con un repertorio di ball-handling, finte, shake e virate da trattatore di palla puro. Hines ha smazzato 5 assist (season-high pareggiato) e, assieme al buon Michael Roll, permesso a Ettore Messina la miglior gestione possibile di Sergio Rodriguez, centellinato nel suo utilizzo per ovvi motivi difensivi e di accoppiamento contro una batteria di esterni avversaria di grande qualità. Insomma, per vincere servono sì i canestri dei Punter e dei grandi realizzatori, ma senza gli Hines a reggere il tutto, resta sempre un lavoro fatto a metà…

scritto da Daniele Fantini