Wilt Chamberlain, il gigante dei record che dominò la NBA

Il più forte di sempre? Wilt Chamberlain. Le statistiche non mentono.

Oscar Robertson

Nel basket moderno ci stiamo abituando a vedere un numero crescente di big-men con qualità fisiche e caratteristiche tecniche sempre più traversali. Ma, nella pallacanestro degli anni ’60, Wilt Chamberlain era una figura totalmente a sé. Centro di 216 cm per 113 kg, aumentati poi a 140 di puri muscoli nella parte finale della carriera, Chamberlain non era soltanto più alto, più grosso e più forte di tutti i suoi avversari, ma anche estremamente tecnico coordinato, un mix di caratteristiche che lo ha reso totalmente immarcabile e che ha costruito, nell’immaginario collettivo, la figura dell’attaccante più dominante di tutti i tempi.

“The Big Dipper”: un gigante sul parquet

Tutti tifano per Davide, non per Golia.

Wilt Chamberlain

Sin da bambino, fu chiaro come Chamberlain fosse magicamente portato per lo sport, in ogni sua sfaccettatura. Prima del basket, che entrò relativamente tardi nella sua vita, fu un atleta straordinario: attraverso il suo intero percorso scolastico, dalle elementari al college, primeggiò in un numero abnorme di discipline, dalla corsa, al salto in lungo, al salto in alto, al getto del peso, attività che gli permisero di sviluppare quel bagaglio di forza, elasticità e coordinazione con cui avrebbe poi dominato gli avversari sul parquet.

Wilt Chamberlain va a canestro contro Willis Reed in una partita tra Los Angeles Lakers e New York Knicks.

Uscito dalla University of Kansas nel 1958, Chamberlain trascorse un anno con gli Harlem Globetrotters (con cui poté affinare ulteriormente una tecnica già ottima) e nel 1959 venne scelto dai Philadelphia 76ers via territorial pick, perché nato proprio nella città della Pennsylvania. Entrato in NBA come giocatore già più pagato dell’intera Lega (30.000 dollari), disputò una stagione d’esordio straordinaria, con 37.6 punti e 27.0 rimbalzi di media, cifre che gli valsero il doppio titolo di MVP e Rookie of the Year, un’accoppiata riuscita poi soltanto a Wes Unseld nel 1969. Dei tanti soprannomi ricevuti (da “Goliath” a “Wilt the Stilt”, ossia “Wilt la pertica”), Chamberlain apprezzò e fece proprio soltanto “The Big Dipper”, derivato dal fatto che dovesse sempre abbassare (dip) la testa per attraversare le porte.

Ma nessuno, ovviamente, faceva il tifo per Golia. E, per fermarlo, gli avversari iniziarono ad adottare i primi veri rudimenti di sistemi difensivi di squadra: Chamberlain veniva costantemente raddoppiato (se non triplicato) e riceveva dosi massicce di falli durissimi e/o antisportivi, spesi per lucrare sul suo unico punto debole, le percentuali dalla lunetta (51.1% in carriera). Al termine della prima stagione, dopo una serie di playoff persa brutalmente contro i Boston Celtics, Chamberlain pensò seriamente al ritiro a causa dei “trattamenti” pesantissimi ricevuti dagli avversari in partita.

Una macchina da canestri: il record di 100 punti in una singola partita

100 punti sono tantissimi, ma ne avrei segnati 140 se avessero giocato a basket in modo pulito.

Wilt Chamberlain

C’è un’immagine di Wilt Chamberlain passata alla storia. Un’immagine che lo ritrae sorridente, negli spogliatoi dopo una vittoria sui New York Knicks. In mano regge un foglio di carta bianco, con una scritta a mano: 100. Tanti furono i punti realizzati in quella partita (molto speciale, a dire il vero, come vi abbiamo già raccontato qui), un record che non fu mai più nemmeno avvicinato nella storia della NBA (Kobe Bryant, secondo in questa speciale classifica, si fermò agli 81 rifilati in una serata divina contro i Toronto Raptors). A quel corpo fuori misura per gli standard dell’epoca, Chamberlain univa un repertorio offensivo completo ed eccezionale, che spaziava dalla schiacciata di potenza a un efficacissimo movimento in svitamento con cui appoggiava al tabellone un tiro preso in fade-away da altezze vertiginose. Talmente immarcabile che la NBA fu costretta a modificare alcuni aspetti regolamentari per impedirgli di essere eccessivamente umiliante per gli avversari: l’area fu allargata da 12 a 16 piedi per non concedergli ricezioni troppo vicine al canestro, fu introdotto il goaltending offensivo (per impedirgli di deviare al volo vicino al ferro i tiri dei compagni) e gli fu impedito di schiacciare direttamente da tiro libero, cosa che riusciva a fare con solo un paio di passi di rincorsa nei primi anni di carriera.

Wilt Chamberlain festeggia la partita da 100 punti vinta contro i New York Knicks: tirò 36/63 dal campo e 28/32 dalla lunetta.

Miglior realizzatore della NBA per otto stagioni consecutive, Chamberlain ha chiuso la sua annata più prolifica a 50.4 punti di media (record NBA) giocando 48.5 minuti a partitarimase in campo per 3.882 minuti su 3.890 complessivi, compresi i supplementari, saltandone otto perché espulso per doppio tecnico nel finale di una gara, segno di un’energia e una forza mai viste nella storia del gioco. La media punti calò nella seconda metà della carriera (chiuse con 30.1 a partita, inferiore per una manciata di centesimi soltanto a Michael Jordan), quando gli fu chiesto di concentrarsi maggiormente su altri aspetti del gioco (soprattutto difesa e rimbalzi) e tenere un atteggiamento più equilibrato per la squadra: in un’epoca in cui, suo malgrado, le stoppate non venivano ancora conteggiate, Chamberlain continuò a essere una macchina da rimbalzi (vinse la classifica per 11 volte e chiuse con 22.9 di media in carriera, altro record NBA) e addirittura guidò la Lega per assist (8.6) in una stagione, primo e unico centro della storia a riuscirci, dimostrando così di poter essere anche un uomo-squadra a dispetto delle critiche.

Il lato oscuro della stella: perdente ed egoista

Quando vai in campo e fai le cose che dovresti fare, le persone ti vedono come un egoista.

Wilt Chamberlain

Già, le critiche. Perché Chamberlain raccolse una quantità esigua di successi a dispetto dell’ammasso di grandi numeri. Il suo stile di gioco da fagocitatore di palloni unito a un carattere duro e a una vita molto lontana da quella dell’atleta fuori dal campo (famose le sue notti insonni per locali e le sue innumerevoli scappatelle, con sua stessa ammissione di aver avuto rapporti con oltre 20.000 donne) lo resero un compagno di squadra scomodo e un giocatore di difficile gestione per tanti allenatori. In un’epoca in cui la rivalità tra Philadelphia 76ers e Boston Celtics (la miglior squadra del tempo) era estremamente sentita, furono famosi i duelli tra Chamberlain e Bill Russell, il leggendario centro dei Celtics che raccolse più anelli che dita delle mani (11), l’unico capace di tenergli testa in maniera continuativa. Chamberlain incrociò i Celtics per otto volte ai playoff e li batté in una sola occasione, dando così adito alle etichette di “loser” (“perdente”) e “selfish” (“egoista”).

Wilt Chamberlain marcato da Bill Russell in una sfida tra Philadelphia 76ers e Boston Celtics del 1968.

I due anelli vinti (uno con Philadelphia, l’altro con i Los Angeles Lakers) arrivarono nella seconda parte della carriera, quando, come detto, accettò di coprire un ruolo molto meno individualista in attacco. Nonostante la rivalità in campo, Chamberlain intrecciò, in realtà, un rapporto di amicizia con Russell ma non con Kareem Abdul-Jabbar, che stava emergendo con la maglia dei Milwaukee Bucks negli ultimi anni della sua carriera, poi destinato a prenderne il posto ai Los Angeles Lakers: si affrontarono ai playoff in due occasioni, vincendo una serie a testa.

Record

  • 100 punti realizzati in una singola partita
  • 55 rimbalzi catturati in una singola partita
  • 50 punti e 35 rimbalzi in una singola partita di playoff
  • 50.4 punti realizzati in media in un’intera stagione
  • 25.7 rimbalzi catturati in media in un’intera stagione
  • 48.5 minuti giocati in media in un’intera stagione
  • 40.0 tiri tentati in media a partita in una singola stagione
  • 72.7% dal campo in un’intera stagione
  • 22.9 rimbalzi catturati in media in carriera
  • 45.8 minuti giocati in media in carriera
  • 9 volte leader della NBA per percentuale al tiro in una stagione
  • 18 canestri consecutivi realizzati in una singola partita
  • 35 canestri consecutivi realizzati in 4 partite
  • unico centro a guidare la classifica NBA degli assist in una singola stagione (8.6)
  • 118 partite con 50 o più punti realizzati
  • 14 partite consecutive con 40 o più punti realizzati
  • 65 partite consecutive con 30 o più punti realizzati
  • 126 partite consecutive con 20 o più punti realizzati
  • 37.6 punti realizzati in media nella stagione da rookie.

scritto da Daniele Fantini